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Al Qaida chiama alle armi il jihadismo globale. E incorona il capo talebano nuovo Bin Laden

L'appello: "Via gli infedeli dalle terre musulmane". Ma un patto li frena

Al Qaida chiama alle armi il jihadismo globale. E incorona il capo talebano nuovo Bin Laden

Il governo inclusivo tanto atteso da chi crede alle promesse dei «tale- buoni» sembra lontano dal veder la luce. Intanto, però, arriva la benedizione di Al Qaida che saluta la vittoria dei combattenti talebani, irride alla sconfitta di America ed Europa e riconosce a Hibatullah Akhundzada, invisibile ed enigmatico leader supremo del movimento, la qualifica di Emiro dei Credenti. Tre passaggi sufficienti a far capire che i legami tra gli eredi del Mullah Omar e il gruppo terrorista sono ancora ben saldi.

Il comunicato, in inglese e arabo diffuso lunedì da Al Sahab, il dipartimento media di Al Qaida, saluta la vittoria «scritta da Allah Onnipotente grazie alla paziente comunità della jihad afghana che ha sconfitto gli imperi invasori». Il senso è chiaro. La vittoria afghana deve servire da esempio per tutti i combattenti della jihad chiamati ad «espellere gli infedeli dalle terre dei musulmani». Al Qaida promette, infatti, che Allah non mancherà di appoggiare la lotta dei palestinesi «per affrancarsi dei sionisti», del Maghreb islamico «per mettere fine all'occupazione francese» e quelle di Siria, Yemen, Somalia e Kashmir. «Il fango afghano - scrive il comunicato - ha sepolto l'arroganza di americani ed europei e l'ingordigia di quanti pensano di poter invadere le nazioni musulmane». Il messaggio punta a far capire che la guerra è solo agli inizi e il successo dei talebani servirà da sprone alle guerre condotte dagli altri gruppi jihadisti.

La parte da cui emerge con chiarezza il legame simbiotico tra terroristi e talebani è quella in cui Al Qaida ringrazia Hibatullah Akhundzada, il leader talebano rimasto fin qui nell'ombra. «Ci congratuliamo - scrive il comunicato - con la guida dell'Emirato Islamico affidata all'Emiro dei Fedeli Hibatullah Akhundzada che ha sconfitto gli imperi invasori espellendoli dalla terra dei musulmani». L'utilizzo del titolo di Amir ul-Muminun, Emiro di tutti i fedeli, è altamente simbolico perchè riconosce ad Akhundzada il ruolo di «guida spirituale» non solo sui militanti talebani, ma anche su quelli di Al Qaida e gruppi collegati. Ricalcando il giuramento di fedeltà rivolto ad Akhundzada quando venne nominato leader supremo e riconoscendogli lo stesso titolo di «Emiro dei Fedeli» che fu del Mullah Omar Al Qaida sembra ammettere un ruolo di subalternità nei confronti dei talebani. Per questo molti si interrogano sulla loro effettiva disponibilità a non permetterne la presenza in Afghanistan. Una disponibilità già smentita dal ritorno nel paese natale di Amin Ul Haq. Storico collaboratore di Bin Laden e responsabile della sua scorta quando il capo di Al Qaida abbandonò il rifugio di Tora Bora Amin Ul Haq era in libertà dal 2011 quando venne scarcerato dalle autorità di Islamabad e, nei giorni scorsi, ha attraversato il confine afghano seguito da un folto gruppo di collaboratori.

Del resto gli accordi di Doha, firmati da americani e talebani, non sembrano richiedere l'espulsione del movimento terrorista dai confini afghani.

Nell'accordo Al Qaida viene menzionata solo due volte e - a dar retta al testo - l'unico effettivo impegno assunto dai talebani sembra quello di «non permettere» a qualsiasi gruppo «inclusa Al Qaida di usare il suolo dell'Afghanistan per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati». Insomma i terroristi possono tranquillamente risiedere e pascolare in Afghanistan. L'importante è che non facciano nulla per colpire gli Usa e gli alleati. Ma chi lo verificherà e lo garantirà non è chiaro.

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