Quei due carabinieri nemici di Gomorra

Il maggiore che ha denunciato, il maresciallo non arrestato: hanno svelato l'orrore

Quei due carabinieri nemici di Gomorra
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Piacenza. Il maggiore scafato che ha parlato quando ha trovato il canale giusto per denunciare. Il giovane militare che guardava, ma non vedeva e, frustrato, si lamentava anche con il padre, carabiniere in pensione di quei colleghi che agivano «aumm aumm», puntando al record di arresti a suon di schiaffoni. Ruota intorno a questi due militari l'ufficiale e il maresciallo, quello a cui su Facebook in tanti scrivono «grazie» e l'unico che non è stato arrestato - la ripartenza di Piacenza che, due giorni fa, si è risvegliata un po' Gomorra, ma che ora, come il resto del Paese, non vuole perdere la fiducia nell'Arma. Se questo non accadrà lo si deve anche a loro, mele non marce in una canestra avariata da un delirio di abusi, impunità e febbre dell'oro sballato. L'hanno chiamata operazione Odysseus ed, infatti, in città non ci si poteva più fidare di nessuno: più che un cavallo di legno, sono stati trojan e cimici a rivelare la profondità dell'abisso dove era sprofondata quella caserma ora sigillata dove, fino a pochi giorni fa si facevano i festini con le escort e si conservava «il fumo» da smerciare. Ora, davanti al palazzo di via Caccialupo due stazioni mobili e 8 militari, simbolicamente, riportano sotto il sole gli alamari e la divisa da indossare con onore mentre è arrivato da Messina il nuovo comandante della compagnia, capitano Giancarmine Carusone, con la benedizione anche del ministro della Difesa Lorenzo Guerini e del sindaco Patrizia Barbieri.

Però gli uomini chiave delle indagini sono altri due. C'è Rocco Papaleo, maggiore di lungo corso: fino al 2013 ha operato qui, poi 4 anni a Vigevano, quindi Cremona da dove, nelle scorse settimane, ha scoperchiato il vaso di Pandora. Chiamato a testimoniare per un'altra indagine, ha cominciato a raccontare tutti i conti che non tornavano pronunciando la frase peggiore per un uomo dell'Arma: «Di alcuni colleghi non mi fido». Poi c'è R.B., inesperto maresciallo dal carattere musone: in quel giro gli altri non lo vogliono e lui non entra, fra rammarico e sospetto che stavolta non fare squadra sia la cosa giusta. Le 326 pagine di ordinanza dicono dell'impegno degli inquirenti coordinati dal procuratore Grazia Pradella, arrivata da poco da Milano. Come sia possibile che nessuno dei superiori avesse intuito che qualcosa non funzionava in una caserma che, fin dagli anni Ottanta era in prima linea nella lotta allo spaccio. L'eroina, poi la coca e il giro dei vicini giardini Margherita: ogni città ha il suo «bosco della droga». E ognuno i suoi paladini: come i mastini della caserma Levante. Dove la droga, però, una volta sequestrata tornava sul mercato per arricchire i militari. Ora molti, fra cittadini ed anche giornalisti, cominciano a collegare le circostanze. Quanti successi, quanta refurtiva, quanti casi risolti per i ragazzi del comandante della compagnia Stefano Bezzeccheri, del comandante della caserma Marco Orlando tutti indagati - ma soprattutto per la squadra di Giuseppe Montella che di questa «piramide» sarebbe il regista. Lui con la sua villetta con piscina, la moto, l'auto e 24 conti correnti.

Lo tsunami sulla caserma Levante ha portato a 23 arresti: oltre ai 6 carabinieri e ad un militare della guardia di finanza, ci sono anche 12 civili.

L'orrore, chioserebbe ben altro colonnello, il Kurtz cinematografico, che pure del suo potere aveva abusato, ma questa apocalisse è ora e qui nel cuore della pianura padana già squassata dal covid: oltre 4mila casi in città. Oggi e domani fra Piacenza e Cremona, sarà il momento degli interrogator, a Verona la Procura militare assicura indagini senza sconti.

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