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Quei poliziotti del caso Uva abbandonati e poi linciati

Sei agenti e un carabiniere rinviati a giudizio per la morte dell'uomo fermato nel 2008 ma per quattro volte il pm ha chiesto l'archiviazione. E il partito anti divise si scatena

Quei poliziotti del caso Uva abbandonati e poi linciati

Il caso Uva a Varese, in cui sono coinvolti sei poliziotti e un carabiniere, è emblematico della precaria condizione in cui gli operatori delle forze dell'ordine si trovano ad operare. Da circa sei anni la questione viene riportata all'attenzione dell'opinione pubblica in un'unica direzione, diffamatoria verso i colleghi interessati e verso l'Istituzione Polizia di Stato. Purtroppo, infatti, i poliziotti non possono replicare intervenendo sul circuito mediatico rilasciando interviste e dichiarazioni per difendersi in quanto l'ordinamento inibisce loro di fare ciò. Non bastando ciò, dobbiamo tutti, anche se con grande rammarico, riscontrare che il Dipartimento della P.S., i nostri vertici, tutto fanno fuorché contrastare i diffamatori e difendere i singoli interessati.

Purtroppo però oggi i processi si fanno sulla «piazza», nelle prime pagine dei giornali e in questo contesto i poliziotti sono destinati a soccombere. Il partito dell'anti-polizia e degli allergici alle divise ha campo libero come dimostrano di numerosi interventi a sproposito del senatore Manconi che, come dimostrano i video presenti su YouTube , rilascia dichiarazioni a ripetizione, entrando finanche nel merito sia sul caso Uva che di altri, mentre per contro non ha la ben che minima cognizione della reale dinamica degli eventi. Le ipotizzate responsabilità penali dei nostri colleghi coinvolti sul caso Uva sono state oggetto di richieste di archiviazione per ben quattro volte da parte dell'ufficio del pubblico ministero nella veste di accusa: la prima volta il Gip ha respinto la richiesta dei due pubblici ministeri disponendo ulteriori accertamenti regolarmente poi esperiti; la seconda volta, lo stesso Gip, ha rigettato la nuova istanza di archiviazione presentata unitamente mente dai due pubblici ministeri titolari delle indagini, ordinando l'imputazione coatta; la terza volta il Gup a seguito dell'imputazione coatta esercitata dal Procuratore facente funzioni ha respinto la richiesta di archiviazione per le più gravi accuse disponendo l'interrogatorio di un testimone in udienza; la quarta volta, lunedì 21 luglio, a seguito del avvenuto interrogatorio, il Gup ha rigettato la richiesta del Procuratore facente funzioni presentata, questa volta, su tutti i capi di imputazione, e ha disposto il rinvio a giudizio di tutti i nostri colleghi, per tutti i capi di imputazione in concorso tra di loro e senza distinzione di posizioni.

I nostri colleghi, sei poliziotti e un carabiniere, dopo che per quattro volte l'ufficio del pubblico ministero ha avanzato una richiesta di archiviazione non ritenendo esistente, come sottolineato dai medici, un nesso di causalità tra la morte e le azioni dei nostri colleghi, sono stati coattivamente rinviati a giudizio!

Il sorgere nei nostri animi di una perplessità ci appare legittimo e giustificato. Se poi a ciò assommiamo che i tempi residui per sviluppare un processo sono estremamente limitati facendo apparire pressoché certa l'ipotesi di una prescrizione prima di una sentenza definitiva, ci sorge spontaneo porci un quesito relativamente al significato o meno di questo processo. Per certo non ci sarà giustizia per nessuno. Chi invoca una condanna difficilmente sarà soddisfatto e chi ritiene di essere ingiustamente accusato non potrà affrancarsi da questa vergogna, in quanto la prescrizione porrà un interrogativo di piombo sulla vicenda e i colleghi patiranno una gogna infinita oltre a dover personalmente affrontare il pagamento di ingenti spese processuali possibilità di risarcimento. La prescrizione, infatti, non li solleverà dal dubbio di responsabilità e per tale motivo non saranno affrancati dall'onere di pagarsi le spese legali anche se il fatto è accaduto sul posto di lavoro. In questo contesto diventa problematico continuare ad avere stima e fiducia, alla stregua di tutti i cittadini, delle istituzioni e della giustizia. Tutti i poliziotti continueranno ad averne ma diventa veramente ogni giorno di più una lotta contro titani.

Il sistema non ci difende anzi parte delle istituzioni ci avversa (Manconi docet), non siamo sostenuti in alcun modo nell'attività quotidiana di servizio e ci interroghiamo su quella che è la nostra reale funzione e forse quest'ultimo interrogativo se lo dovrebbero porre anche i cittadini.

*Segretario generale Sap

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