nostro inviato a Firenze
La piazza della Cgil? «Bella, importante, certo che va ascoltata. Poi il governo va avanti», dice da Firenze Matteo Renzi affacciandosi agli schermi del Tg3 (il tg più «di sinistra») appena chiusa la seconda affollatissima giornata della Leopolda.
Nessun frontale con la Camusso, che non aspetta altro: per il premier il sindacato ha diritto di andare in piazza e di «dire no a diverse cose che fa il governo»; ma di certo «una piazza non può fermarci, perché questo paese ha bisogno di riforme e noi le faremo». Con Rosy Bindi e gli altri signornò del Pd Renzi è meno diplomatico: la presidente Antimafia accusa la Leopolda di essere un evento «post-Pd»? «Veramente - ricorda con soave perfidia il premier - il Pd ha preso il 40,8% quando ha messo da parte quelli che vanno tutti i giorni in tv a fare polemica. Loro lavorano per un Pd che perde, io voglio un Pd che vince». La minoranza Pd è servita.
Quanto al sindacato, meglio far parlare i fatti e chiarire che «i posti di lavoro non si creano con le manifestazioni» ma con le imprese. Per questo ieri, appena finito il corteo di San Giovanni a Roma, Renzi ha fatto improvvisamente ribaltare l'ordine dei lavori previsto. Sospesi i cento tavoli tematici, ha fatto sfilare uno dietro l'altro sul podio della Leopolda quelli che i posti di lavoro li hanno creati davvero: dall'ex Ad di Luxottica Andrea Guerra a quello della Tre Vincenzo Novari, dal «re del cachemire» Brunello Cucinelli a Patrizio Bertelli di Prada. Tutti interventi che il premier apprezza molto: «Qui c'è l'Italia che produce e crea lavoro, che sa immaginare prospettive di crescita», qui c'è «la classe dirigente del futuro».
In mattinata dalla Leopolda si seguono, con un filo di divertimento, i numeri che vengono dati a Roma. In mattinata i siti di tutti i giornali annunciano che nella Capitale sono in marcia sotto le bandiere Cgil in centocinquantamila, dieci minuti dopo sono già diventati un milione e mezzo, poi qualcuno si accorge di aver esagerato e i manifestanti calano improvvisamente di un terzo: un milione.
Ma la parola d'ordine renziana è: nessuna polemica, vietato ingaggiare match contro la piazza rossa e i compagni Pd che sfilano dietro la Camusso (solo la Bindi riuscirà a far perdere la pazienza alla Serracchiani), proibito raccogliere le provocazioni che da Roma arrivano a raffica, peggio che se a Palazzo Chigi ci fosse ancora il Caimano. E infatti il premier si irrita e non poco quando l'ormai celebre finanziere italo-londinese Davide Serra (che quest'anno prudentemente non parla dal palco, ma è animatore di uno dei più seguiti «tavoli tematici») spara a zero contro gli scioperi nei servizi pubblici, che «sono un costo». E spedisce immediatamente Silvia Fregolent, Graziano Delrio e altri dirigenti a smentire seccamente: nessuno si sogna di mettere in discussione il costituzionale diritto di sciopero. Niente di più sbagliato, in un giorno come questo, che prestare il fianco a simili polemiche: a San Giovanni non si aspettava altro per dare addosso alla Leopolda dei «padroni». Anche perché il premier sa che, dentro la stessa Cgil, c'è chi lavora per un rapporto più dialettico con il governo, e non di pura contrapposizione politica: basta sentire quel che dice dalla piazza romana la potente segretaria dei pensionati Spi, Carla Cantone: «È sbagliato arrivare allo sciopero generale. Il problema è come far fruttare questa piazza e sedersi a un tavolo per ottenere risultati concreti».
Renzi annusa l'aria, lo sciopero generale sembra già tramontato (anche Landini dice che «bisogna andare oltre») e lunedì i sindacati siederanno al tavolo del governo, col ministro Poletti. Intanto il premier scherza in platea con Pif sul suo futuro: «Faccio ancora due mandati di governo, poi me ne torno a casa. Nel 2023».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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