Resa dei conti in Aula. Il premier si vendica: ora vuole catturare i dissidenti renziani.

Conte assume l'interim all'Agricoltura e si prepara al voto parlamentare di lunedì e martedì. È prevista, dopo le sue comunicazioni, una risoluzione di maggioranza. Castaldi (M5S): "I numeri si trovano".

Resa dei conti in Aula. Il premier si vendica: ora vuole catturare i dissidenti renziani.

Al mattino, seguendo le indicazioni di Palazzo Chigi, che non aveva fretta di parlamentarizzare la crisi, Ettore Licheri, capo dei senatori dei 5stelle, è arrivato a dire agli altri capogruppo con aria serafica: «Le lettere di dimissioni delle ministre renziane sono arrivate appena ieri. Non sappiamo neppure perché si sono dimesse, magari per motivi famigliari. Aspettiamo un momento». Atteggiamento che ha fatto girare le scatole ai renziani e alle opposizioni, che tra l'altro la prossima settimana dovranno dare i loro voti indispensabili per l'approvazione dello scostamento di bilancio: così a metà pomeriggio Sergio Mattarella si è chiamato al Quirinale il premier, il quale a quanto pare era a digiuno di quella prassi istituzionale che ha spinto tutti i presidenti del consiglio in 75 anni a salire sul Colle due minuti dopo le dimissioni di qualsiasi ministro della propria compagine. Messo di fronte al problema Conte, che non ha nessuna intenzione di dimettersi, in mancanza di meglio, ha imboccato la strada della verifica parlamentare della sua maggioranza, in anticipo rispetto ai tempi che si era dato e ha assunto l'interim dei ministeri della Bellanova e della Bonetti: le opposizioni volevano il redde rationem già domani, ma Palazzo Chigi è riuscito a strappare uno slittamento fino a lunedì alla Camera e martedì al Senato.
Così il premier ha deciso con tutta la sua maggioranza attorno - da Di Maio a Zingaretti, a Bersani - di andare alla prova di forza contro Italia Viva, cavalcando il grido dei 5stelle che aveva rinnegato neppure 24 ore prima: «Noi un governo con Renzi non lo faremo più». Allo studio alla Vetrata al Quirinale Conte ha spiegato di avere i numeri pure senza Renzi, ricevendo dal Capo dello Stato una risposta dubbiosa: «Se lo dice lei». Con i piddini, invece, visto che non tutti condividono questa scelta, il Premier è stato più cauto: «Io dovrei avere dai 10 ai 15 senatori con me al Senato che dovrebbero garantire il governo. Poi dopo aver mostrato i muscoli, potrei pure riaprire una trattativa con Italia Viva, ma da una posizione di forza, facendo capire a Renzi che possiamo fare anche a meno di lui».
In realtà l'operazione è bieco trasformismo spurgato e nobilitato con parole che fino a due anni fa tra i grillini erano pronunciate alla stregua di parolacce: «responsabilità» e «europeismo». Obiettivo? Racimolare quattro scappati di casa bisognosi di asilo con la minaccia delle urne e la promessa di una casa alla «luce del sole» per usare l'espressione iconica di Dario Franceschini: l'embrione del futuro partito di Conte. Riuscirà? L'operazione è un training autogeno dopato dall'obbligo di legare la propria sopravvivenza ad una scommessa. Cocktail letale che spinge a fare anche tante menate: ieri è apparsa sul profilo ufficiale del Premier su facebook una storia dove sotto le foto di Renzi e Conte c'era scritto: «Se vuoi mandare Renzi a casa iscriviti al gruppo». Roba che fa a pugni con la sensibilità istituzionale di qualsiasi inquilino di Palazzo Chigi. C'è rimasta qualche minuto, seguita dal giuramento di Roccobello Casalino che lo staff del premier non c'entrava un tubo, che al massimo era frutto di un hakeraggio. Peccato che poi si è scoperto che la pagina da dove proveniva era quella di Pierre Santagallo, vicini ai gruppi 5stelle, la stessa pagina usata per sostenere l'impeachment contro Mattarella promosso anni fa da Giggino Di Maio. Una storia che fa il paio con l'sms che ha svegliato questa notte giornalisti e parlamentari per informarli che «#avanti con Conte» era primo in tendenza su tweet.
Appunto, per arruolare bisogna creare l'evento, dare l'idea che la scommessa è vincente. Un impegno che ha visto mobilitati specie i ministri del Pd, da Gualtieri e Franceschini (molto meno i gruppi parlamentari), consapevoli che se c'è un nuovo governo qualcuno tra loro perderà il posto. Finora dentro Forza Italia la coppia levantina Boccia-Emiliano è riuscita a conquistare solo la senatrice, Carmela Minuto, in procinto di decadere dopo il voto nella Giunta per le elezioni, con la promessa del duo pugliese che l'aula del Senato cambierà il verdetto. L'Udc sta rispondendo picche alle lusinghe. Lo stesso premier corteggia assiduamente Gianni Letta nella speranza che gli porti qualcuno di Forza Italia. Ma quel versante è presidiato da Salvini che ha scatenato una controffensiva conquistando altri due ex-grillini come i senatori Pacifico e Drago. La realtà è che il tentativo, specie dei ministri del Pd, di creare la condizione psicologica che i voti già ci siano, punta a condizionare, soprattutto, i parlamentari di Italia Viva, il settore che con maggiore attenzione è stato messo nel mirino. Una pressione del tipo: abbiamo già i numeri, che stai a fare con Renzi, con noi girerai il mondo. «Questo l'ho capito», ammette il leader di Italia Viva consapevole del fatto che Conte perde la partita solo se lui riesce a tenere i suoi. Ma anche tra i renziani, per ora, e pure con il condizionale, l'operazione avrebbe conquistato solo un'ex-forzista come la Conzatti. Il segretario del Psi, Nencini, invece, che conosce le regole della politica, è stato chiaro: Conte salga al Quirinale e nel frattempo si metta in piedi una maggioranza «organica», quindi con Renzi dentro e non affidata ai gatti solitari.
Insomma, è in corso una battaglia all'ultimo voto. Per alcuni versi un azzardo dall'esito incerto nel tentativo di liquidare Renzi. Basta pensare che alla Camera Bruno Tabacci, consigliere del premier con un fulgido passato democristiano, è riuscito a mettere in piedi il gruppo di responsabili solo grazie a cinque ex-grillini che il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà gli ha gentilmente concesso con la benedizione di rito: «Andate!». Confida il sottosegratario ai rapporti con il Parlamento, Gianluca Castaldi, che da giorni si aggira nei corridoi di Palazzo Madama: «Non credo al ritorno ad un'alleanza con Renzi. Se abbiamo i numeri? In fondo tra la situazione d'emergenza e il calcolo di quelli che hanno paura delle elezioni, i numeri si trovano. Eppoi Conte preferisce, se proprio deve cadere, cadere a testa alta e non in ginocchio».
E già, anche da quelle parti, dalle parti del governo la sicumera è soprattutto di facciata. Renzi, invece, è più sincero: «La verità è che anche questa volta il Pd mi ha lasciato solo, come quando aprii la strada a questo governo l'11 agosto. Ha un atteggiamento inspiegabile. Forse sono convinti di avere i voti, se non fosse così non capirei l'atteggiamento di Conte. O magari bluffano per averli. Io non ho mai detto no al Conte Ter. Ho lasciato la porta aperta. Ma loro hanno preso un'altra strada. Ma di fronte ad un governo del genere, tenuto in piedi con rimasugli, preferisco stare all'opposizione, forse la coerenza pagherà elettoralmente». Se un governo simile andrà in porto, per l'ennesima volta avrà ragione la teoria dei «corsi e ricorsi storici» di Vico: i «responsabili» a sinistra li inventarono agli sgoccioli dello scorso millennio D'Alema e Mastella per mettere in piedi il governo di Baffino; vent'anni dopo dietro a Conte ci sono sempre loro.

Solo che quello fu un governo politico; far governare, invece, la pandemia e il Recovery Fund da una maggioranza con dentro grillini più «rimasugli» è da «irresponsabili». «Si può affrontare una tragedia con un governo sostenuto da due-tre transfughi? Siamo seri!» sospira incredulo l'azzurro Antonio Tajani.

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