Cinema e teatro alla Scala chiusi. Smart working e videoconferenze rischiano di annullare le colazioni di lavoro per un pezzo. Soprattutto, nella fase 2 cambierà ben poco per chi aveva una clientela per l'80/90% di stranieri. «La domanda non si risolleverà nel breve periodo». I ristoranti della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, crocevia tra Scala, Duomo e multisala, sono preoccupati. Avevano allungato gli orari quando la città sfiorava gli 11 milioni di turisti, ora non hanno fretta di riaprire, specie (ma non solo) se sarà confermata la distanza di sicurezza di 4 metri quadrati per cliente. Chi ha un forte gruppo alle spalle non farà fatica a organizzarsi già per il 18 maggio. I ristoranti storici nell'immediato non ci pensano ma vedono difficile pure la scadenza del primo giugno e c'è chi vorrebbe addirittura «scavallare» l'estate e arrivare a settembre. Pier Galli, presidente dell'associazione «il Salotto» che riunisce le insegne della Galleria (oltre che titolare di un ristorante che ha 52 anni) ha riunito in videoconferenza i colleghi giorni fa e sono emersi tutti i dubbi. «Siamo spiazzati, i centri storici sono a fortissima vocazione turistica, riaprire in queste condizioni sarebbe un bagno di sangue, non c'è sicuramente una corsa da parte nostra - ammette -. Non abbiamo ancora deciso come e quando ripartire, dovremo confrontarci anche con il Comune» che è proprietario del monumento. La categoria chiede al governo un'iniezione di soldi a fondo perduto ma «sbagliare apertura vuol dire anche bruciare subito la liquidità - sottolinea -. Hotel a 4 e 5 stelle che ci forniscono clientela non apriranno prima di fine luglio o ottobre. E le distanze di sicurezza per i locali più piccoli sono ingestibili».
Il ristorante «Savini», aperto dal 1867, è un istituzione. Ma in emergenza non basta il nome. Il direttore Sebastian Gatto premette che «una riapertura non si improvvisa in 48 ore. Non esiste ancora un protocollo, non sappiamo di preciso quali misure saranno obbligatorie, e non è dettaglio la responsabilità penale nei confronti del dipendente che dovesse risultare positivo». Al governo fa presente che «le regole di distanziamento per i locali sono spiazzanti, erano meno rigide per i supermercati». Ma anche al «Savini», che conta 50 dipendenti che «da marzo non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione» il nodo è sempre la domanda: «Lavorerà di più una pizzeria familiare in periferia, allargando i tavoli all'esterno, di una struttura che vive di turismo, cene dopo teatro e business, e spende 20mila euro al mese solo per la luce. Riaprire subito è anti economico». Di fronte al «Savini», il titolare de «La locanda del Gatto Rosso» Andrea Loiacono vede ancora più buio: «Facciamo passare i mesi estivi e apriamo in sicurezza e magari con meno paletti a settembre o si rischia il fallimento in pochi mesi».
Solo il ristorante «Cracco» ha già aperto il bar al piano terra per l'asporto. Ma anche lo chef stellato da giorni ripete che le parole d'ordine sono «sicurezza e salute. Partire in fretta non serve a nulla, tanto non credo ci sarà la fila».
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