La ricetta svizzera per tenere le piste aperte. "Prenotazioni, limiti, distanze e zero rischi"

Il comprensorio lavora dal 31 ottobre: massimo in mille, funivie al 30%

La ricetta svizzera per tenere le piste aperte. "Prenotazioni, limiti, distanze e zero rischi"

«Non voglio commentare le scelte del vostro governo, ma non capisco perché in Italia sia impossibile sciare. Noi siamo aperti dal 31 ottobre e da allora non c'è stato un problema». Stefan Kern, portavoce del comprensorio di Andermatt nel cuore della Svizzera - 190 chilometri e due ore di macchina da Milano - mi aspetta in cima al primo tratto del Gemsstock, una funivia che anche in questo inverno di pandemia lavora a pieno ritmo. «Il segreto - mi spiega - non è rischiare, ma organizzarsi. Noi abbiamo fatto un piano, l'abbiamo concordato con il sindaco e l'abbiamo applicato. Le regole sono semplici. E non sono più di cinque. La prima è contingentare le presenze. Fino a quando l'innevamento non ci consentirà di aprire gli altri versanti non porteremo in pista più di mille sciatori al giorno. La seconda è diminuire del 30 per cento l'affollamento delle cabine. Ma ovviamente serve un sistema di controllo. Per questo abbiamo introdotto l'obbligo di prenotazione per i fine settimana. Chi vuole venire il sabato o la domenica va sul nostro sito e prenota per sé e un massimo di 9 amici in base agli orari ancora disponibili sulla funivia. Così sappiamo esattamente quanta gente avremo in pista. La quarta indispensabile regola è l'obbligo di mascherina. Ma per evitare di veder tutto vanificato fin dall'ora di pranzo abbiamo introdotto le prenotazioni elettroniche anche per il rifugio e il bar».

Il risultato è immediatamente visibile. Nel parcheggio davanti alla stazione del Gemsstock non c'è la minima fila. Gli sciatori sostano a piccoli gruppi chiacchierando e controllando i telefonini su cui un sms comunica l'orario della cabina loro destinata. «Questo sistema dovremmo applicarlo anche quando sarà finita l'emergenza del Covid, per la prima volta non vedo file e non perdo ore per salire. Come sempre nella vita non tutti i mali vengono per nuocere» se la ride soddisfatto Roberto, un maestro di scii ticinese. Grazie alla prenotazione elettronica la corsa all'imbarco inizia solo quando un nuovo sms o un whatsapp color verde mette in movimento la cinquantina di sciatori prenotati per la nuova corsa spingendoli verso i cancelletti dove gli inservienti controllano il via libera ricevuto dai telefonini. Ma anche chi arriva senza prenotare ha qualche speranza. Per provarci basta puntare il telefonino sui QR code affissi davanti all'ingresso e verificare i posti e gli orari ancora disponibili nel sistema.

«Non è come sciare in Val Badia o in Val Gardena, le piste da queste parti sono un po' più strette e ripide, ma di certo è meglio che stare a casa. Finché l'Italia resta chiusa lo sci me lo godo qui» confessa Furio un imprenditore italiano residente per lavoro in Svizzera. Certo all'interno della funivia anche con la riduzione del 30% dei posti il distanziamento resta assai più audace di quello prescritto dai virologi. Mezzo passo indietro o in avanti finiscono inevitabilmente per metterti a contatto con la mascherina o i gomiti chi sta al tuo fianco. «Certo questo è vero - ammette Romina una sciatrice di Andermatt in piedi accanto a me - però abbiamo la mascherina e la salita dura sette minuti se vai in metrò a Milano rischi di più». E allo stesso modo sembra pensarla il dottor Moriz Schurch, anestesista nella rianimazione di un ospedale cantonale.

«Paura? E perché mai dovrei aver paura? Quando lavoro con i malati Covid rischio molto di più. L'importante è usare la mascherina e il distanziamento. Non si può vietare tutto e chiudere tutto. Bisogna anche continuare a vivere».

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