La rivincita di Mette. Una socialdemocratica con le idee di destra

La Frederiksen vola nei sondaggi. Tagli al welfare e meno stranieri, così il partito è rinato

La rivincita di Mette. Una socialdemocratica con le idee di destra

Si chiama Mette Frederiksen ed è il segretario del Partito Socialdemocratico danese che alle elezioni di oggi potrebbe vincere con un programma di destra su immigrazione e ambiente. Un paradosso che è confermato da tutti i sondaggi, che lo danno al 27% e addirittura a più del 55% se sommato alla coalizione di sinistra.

Elettorato incoerente? Niente affatto, come lo stesso Frederiksen ha precisato in uno degli ultimi comizi quando ha detto che non si diventa automaticamente cattive persone solo perché si chiedono regole certe nel dossier migranti. Per avere un'idea di come il tema sia sentito da cittadini e classe politica, è utile ricordare che la normativa sull'accoglienza e sulla gestione dei flussi migratori in Danimarca è stata rivista più di cento volte per renderla più severa, come dimostra un contatore fatto installare dal ministro dell'immigrazione, Inger Støjberg, sul sito web del ministero che indica proprio il numero delle modifiche di legge.

Ma è andando a indagare alla radice di policies e strategie che si scopre il malessere dei cittadini danesi: i tagli a istruzione e salute hanno ingrossato l'erosione dello stato sociale che, mescolata alla convivenza spesso complessa con i migranti, ha prodotto lo status quo. Circa un quarto degli ospedali sono stati chiusi in due lustri e più della metà dei danesi non ritiene soddisfacente il servizio erogato dalla sanità pubblica, mentre al contempo sono aumentate le polizze stupulate con assicurazioni private. Non va meglio nella scuola, con un quinto degli istituti chiusi, né nel welfare con sforbiciate a indennità e bonus, per una spending review che ha toccato le case di cura, la pulizia e la riabilitazione per gli over 65.

In questo scenario di austerità i socialdemocratici, oltre all'annuncio di più rigore sui migranti in cui sono supportati dal partito liberale danese, si sono caratterizzati per le promesse di aumento della spesa pubblica (dello 0,8% nei prossimi cinque anni) a causa della rabbia diffusa in Danimarca per ciò che molti elettori consideravano come il fiore all'occhiello del Paese. E hanno indicato le coperture in maggiori tasse che le imprese dovrebbero versare in uno speciale fondo sociale, ma con il rischio che si possa così innescare un meccanismo che porti ad alcuni licenziamenti.

Frederiksen ha anche promesso nuove politiche edilizie con un vademecum chiamato «Città con spazio per tutti», in cui intende rendere la vita urbana accessibile alle famiglie con reddito medio, come impiegati e insegnanti, che non possono più permettersi di vivere dove lavorano. Per cui propone di ridurre gli affitti di alloggi pubblici, garantire più posti di residenza per gli studenti e impedire ai fondi di capitali stranieri di acquistare alloggi a basso costo per ristrutturarli e affittarli. Ma i conservatori lo accusano di aver sconfinato nel campo della libera impresa, come osservato dal leader dei popolari Kristian Thulesen Dahl, secondo cui Frederiksen sta cinicamente «inseguendo la carica del primo ministro a tutti i costi».

E la destra come reagisce? Il governo uscente guidato dal premier Lars Løkke Rasmussen non dovrebbe raccogliere più del 18%, mentre l'alleato popolare di estrema destra scivola all'11% dimezzando i consensi rispetto alle elezioni di quattro anni fa.

Sullo sfondo le lamentele dei musulmani danesi, da settimane molto attivi nel denunciare di aver subito abusi verbali e crimini di odio religioso proprio da quando i principali partiti politici (compresi i socialdemocratici) hanno iniziato ad annunciare politiche anti-immigrazione più severe. Che in precedenza erano ad appannaggio solo dell'estrema destra, ma che visti i fatti non erano poi così dure.

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