Un'altra decisione teatrale del governo? Lo scopriremo presto, osservando le reazioni dell'India sul caso dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. La decisione italiana di cambiare l'ambasciatore a New Delhi sembra dettata, almeno nelle speranze di Renzi, dall'esigenza di rinnovare le relazioni con il governo indiano. Daniele Mancini, che rappresenta da tre anni il nostro Paese, diventerà dal 2 marzo il nuovo ambasciatore presso la Santa Sede, come ha anticipato il settimanale Panorama oggi in edicola. Al suo posto arriverà Lorenzo Angeloni, che guidava finora la nostra sede diplomatica in Vietnam.
È stato davvero un passo necessario, l'avvicendamento? L'esperienza di questi tre anni, e tutti i fiaschi politici e diplomatici messi in fila, non ci fanno ben sperare. Se l'obiettivo è dare una svolta, bastava fare quello che nessun governo ha messo in atto fino a oggi: ricorrere alle sedi internazionali, in primo luogo, e poi annunciare il veto all'accordo di libero scambio tra Unione Europea e India. Strumenti di pressione che, se da un lato potrebbero acuire la tensione diplomatica, dall'altro imprimerebbero un passo decisivo al contenzioso. Ma i nostri governi non hanno mai avuto il coraggio di imboccare questa strada. Troppi interessi, e non solo italiani, sono in ballo. E tutte le decisioni balbettanti e fallimentari per riportare a casa Latorre e Girone ne sono la chiara dimostrazione.
Renzi ha concluso il semestre di presidenza europea con lungo e articolato discorso a Strasburgo. Ci aspettavamo un cenno sulla vicenda, ma si è scordato dei marò, anche se, mai come ora, il caso doveva essere affrontato in un contesto internazionale. D'altronde, anche il suo governo, come i due precedenti, ha brillato per mollezza. E oggi dovremmo vedere i primi risultati. La Corte suprema indiana, infatti, deve decidere se accogliere la richiesta di allungare la convalescenza in Italia di Latorre, operato pochi giorni fa dopo essere stato colpito da un ictus.
Dal governo Renzi ci aspettavamo qualcosa di più, ma non ha fatto altro che perpetuare la strategia di chi lo ha preceduto: il compromesso, la trattativa sottobanco, lo strisciare nelle aule giudiziarie indiane per racimolare briciole di giustizia in un Paese in cui la giustizia è un optional. Esageriamo? Tutt'altro. Non è forse vero che la morte dei due pescatori è avvenuta fuori dalle acque territoriali indiane e che quindi l'India non ha giurisdizione sul caso? Non è altrettanto vero che i militari in missione godono dell'immunità funzionale? Non è vero, infine, che dopo tre anni non è stato ancora formulato un capo d'accusa contro i due marò? Noi ci lamentiamo della giustizia italiana, ma in India hanno fatto coriandoli con le norme internazionali e hanno calpestato anche il più elementare diritto degli accusati.
A tutte queste violazioni dei diritti si aggiungono poi gli sgarbi diplomatici dell'India, come quello di «sequestrare» l'ambasciatore Mancini, dopo la decisione del governo Monti di non rimandare a New Delhi i marò.
Oppure come il recente dispetto al nostro ministro della Difesa, Roberta Pinotti, alla quale il 22 dicembre scorso venne negato il permesso di sorvolo dello spazio aereo: il ministro, dopo la visita in Afghanistan, avrebbe voluto incontrare Girone, ma gli indiani risposero no perché l'ambasciatore era stato richiamato a Roma per consultazioni. È pensabile cercare ancora di trovare un accordo di compromesso con un Paese che si comporta così?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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