C'è un giorno nell'epopea social-macchiettistica di De Luca, in cui il governatore campano pare aver perso l'orientamento politico. Accade a fine ottobre quando, dopo aver vestito per settimane la maschera da sceriffo intransigente, il governo risponde picche alla sua richiesta di aiuti economici. Da lì in poi, posato sulla scrivania il distintivo e riposto il lanciafiamme, De Luca si avvita in una serie di dichiarazioni contraddittorie - zona rossa sì, zona rossa no - da cui non riesce più a districarsi. Il risultato sono le intemerate contro governo, Di Maio, De Magistris e Saviano di venerdì sera. E un filo logico a cui è complicato risalire. Serve rileggere le dichiarazioni da fine settembre a oggi per rendersene conto. Il 21 settembre, a poche ore dalla rielezione alla guida della Campania, già avvertiva i proprio concittadini: «Ho notato un clima di rilassamento ed è necessaria una linea di nuovo rigore». Rigore che si traduceva nell'obbligo di indossare le mascherine anche all'aperto. Sceriffo anche nella consueta diretta facebook: «Se l'alternativa è tra avere morti in strada o fare una allegra passeggiata, non ci sarà alcun dubbio. Fermeremo movida, luoghi di ritrovo e discoteche».
Otto giorni dopo è tempo di una nuova ordinanza: stretta antimovida, feste a numero chiuso e divieto di vendere alcolici da asporto dopo le 22. Un giro di vite accompagnato dall'ennesima minaccia: «È la penultima ordinanza prima di chiudere tutto». Il 2 ottobre passa da sceriffo a padre di famiglia: «Quando vi dico stiamo tranquilli, ve lo dico perché non succederà mai da noi di trovare malati per terra, o di trovare situazioni dove non sappiamo dove ricoverare un anziano sofferente». Ancora non immaginava cosa sarebbe accaduto da lì a 40 giorni all'ospedale Cardarelli. Il 9 ottobre inizia a battere cassa e avverte: «Con mille contagi al giorno è lockdown». Una settimana dopo decide di chiudere le scuole, ma è il video contro Halloween a fare il giro dei social: «Un'americanata che è un monumento all'imbecillità, chiuderemo tutto alle 22».
È tra il 23 e il 24 ottobre che il governatore vede rosso. E come un toro davanti alla muleta del torero perde politicamente la testa. De Luca, vuole la zona rossa almeno per la città di Napoli e chiede aiuti al governo: Conte risponde picche e per le strade di Napoli iniziano le prime manifestazioni di protesta: «Tu ci chiudi, tu ci paghi». Il governatore è costretto ad abbozzare, ma è ormai chiaro il gioco: «Senza ristori impossibile lockdown Campania». E anche quando Conte firma il dpcm del 26 ottobre De Luca resta prudente: «Chiusure più drastiche a livello locale non sono ipotizzabili perché inefficaci».
Da qui in poi è un festival di dietrofront. A fine mese respinge le voci di un lockdown per Napoli, salvo poi contraddirsi meno uno di una settimana dopo: «Non si decide nulla rispetto alle decine di migliaia di persone che, nei fine settimana, si riversano in massa sui lungomari e nei centri storici». Il 5 novembre torna a chiedere rigore («Dobbiamo adottare prima di altri le misure necessarie»), il giorno dopo esulta perché la Campania è inserita nella fascia gialla: «C'è qualcuno che è rimasto deluso». Il 9 novembre si cambia ancora: «Basterebbero le immagini degli affollamenti sul lungomare di Napoli per motivare una zona strarossa».
Ma 24 ore dopo non è più così: la Campania resta in zona gialla e De Luca elogia l'«operazione trasparenza» da lui stesso sollecitata e si scaglia contro lo sciacallaggio. Passa una manciata di giorni e la Regione passa a zona rossa. De Luca non la prende bene: «Il governo vada a casa».Chi ci capisce è bravo.
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