Faceva bene la Procura di Milano a guardare con preoccupazione il processo d'appello per i bilanci del Monte dei Paschi di Siena, concluso in primo grado con una sfilza di condanne pesanti. Il timore dei pm era che l'impianto di accusa non reggesse, e che anche questo processo facesse la stessa fine di un altra inchiesta-simbolo, quella sulle tangenti Eni, naufragata già in primo grado contro uno tsunami di assoluzioni. Ieri anche il processo agli ex vertici di Mps fa la stessa fine. Tutti assolti: l'ex presidente Giuseppe Mussari, l'ex direttore generale Antonio Vigni, e insieme a loro le grandi banche che avevano fornito i prodotti finanziari finiti sotto accusa. Di fatto, è una intera stagione di inchieste sul diritto penale dell'economia a finire in nulla. E nell'eccitazione dell'aula i difensori degli imputati vanno anche più in là: «Questo è il disvelamento di come si esercita il terribile potere di accusa in Italia», dice Tullio Padovani, l'avvocato di Mussari.
Che la stagione in cui Mussari era alla guida della banca senese si sia tradotta in un disastro nessuna assoluzione potrà negarlo: soffocata dalle ambizioni, gravata da operazioni spericolate come l'acquisizione di Antonveneta, Mps era stata portata sull'orlo del fallimento, in un vortice di manovre oscure di cui il misterioso suicidio del suo portavoce David Rossi fu il segnale più drammatico. Chiamata a valutare gli aspetti penali di quella gestione, la giustizia racconta oggi di un disastro senza colpevoli. Assolti in appello a Siena dall'accusa di avere nascosto la verità agli ispettori della Banca d'Italia, ora Mussari e Vigni vengono assolti anche dai reati di falso in bilancio e manipolazione del mercato, commessi secondo la Procura utilizzando i complicati prodotti finanziari (Santorini, Alexandria, Chianti Classico e Fresh) forniti da Nomura e Deutsche Bank. Erano strumenti che dovevano servire per rimediare ai disastri dell'operazione Antonveneta e che invece, secondo la Procura milanese, aumentarono le dimensioni del dissesto. Al punto che la Banca centrale europea nel giugno 2017 accertò la presenza nei conti di Mps di un buco da oltre sette miliardi e mezzo di euro, «tale da pregiudicarne l'esistenza».
Un anno fa, nel motivare la condanna di Mussari (che si era visto infliggere sette anni e mezzo) e degli altri imputati, banche comprese, il tribunale aveva parlato di «condotte criminose non casuali o estemporanee bensì molto articolate, che hanno richiesto notevole competenza in campo finanziario ed impegno di tempo e di forze da parte degli imputati». Ieri viene tutto spazzato via, comprese le confische monstre agli istituti di credito, 88 milioni per Nomura e 64 per Deutsche. Quando il presidente della Corte d'appello Angela Scalise legge la sentenza, in aula si assiste a scene quasi da stadio, con i legali che si abbracciano e si commuovono.
«È caduto l'ultimo pilastro di questa vicenda montata sulle menzogne di personaggi privi di scrupoli», dice Gianluca Baldassarri, l'ex responsabile dell'area finanza di Mps che era stato chiuso in carcere per cinque mesi, e condannato in primo grado a 4 anni e mezzo.Unico capitolo ancora aperto, il processo ai successori di Mussari, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, condannati in primo grado. Ma dopo la sentenza di ieri possono sperare anche loro.
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