Segretaria nuova, linguaggio vecchio: sarà che la riunione dei gruppi Pd si tiene nella Sala Berlinguer, ma quando Elly Schlein spiega che ritiene «utile un confronto sulla Nuova Fase politica», tra gli astanti qualcuno si sente proiettato all'indietro in un Comitato Centrale del Pci degli anni Settanta. La Nuova Fase (che si aprirà oggi con l'elezione di due nuovi capigruppo schleiniani, la franceschiniana Chiara Braga alla Camera e Francesco Boccia al Senato) è comunque «positiva», spiega la leader, la «grande partecipazione alle primarie ha ridato slancio al Pd», e ci sono anche «sedicimila nuovi iscritti arrivati in pochissimo tempo». In verità si tratta, n gran parte, dei tesserati di Articolo 1, il partitino degli scissionisti bersanian-dalemiani che rientrano in massa in un Pd che, dicono, «torna a sinistra». Anche se Massimo D'Alema, come spiegava ieri il suo seguace Arturo Scotto, sta ancora riflettendo sul da farsi: «Per ora non si è ancora iscritto, deciderà lui». E Schlein fa voti che accada più tardi possibile: il rientro di D'Alema non gioverebbe granché alla sua immagine di innovatrice. La nuova segretaria invoca unità interna, e dura opposizione al governo. Dal tema caldo dei migranti («Giorgia Meloni doveva chiedere una Mare nostrum europea anziché dichiarare guerra alle Ong. È tornata da Bruxelles con un pugno di mosche») a quello della Rai: «Mi pare che il governo stia cercando di metterci un po' troppo le mani. Vigileremo». A «vigilare» sarà Marco Furfaro, vice-segretario in pectore che aspetta con ansia la ambita delega a trattare i posti in Rai per conto del Nazareno. A proposito di «mani».
Schlein auspica «battaglie comuni delle opposizioni». Ma deve fare i conti con la crescente ostilità di Giuseppe Conte, deciso a boicottare in ogni modo un Pd che minaccia di togliergli consensi: alle amministrative di maggio, il capo 5s ha impedito l'alleanza in buona parte (13 su 19) dei comuni che andranno al voto, per impedire eventuali vittorie dei candidati Pd. Intanto si avvertono crescenti scricchiolii sulla linea di politica estera, che preoccupano assai l'ala euro-atlantista che si riconosceva nella posizione ferma sull'appoggio anche militare all'Ucraina impressa dal governo Draghi, difesa dal governo Meloni e sostenuta da Enrico Letta. Quando ieri l'ex ministro Andrea Orlando è intervenuto criticando le «risposte troppo burocratiche» alla «proposta di pace» messa in campo dalla Cina in sala si è registrato un certo brusio. Schlein sa però che si tratta di un tema tanto epocale quanto dirimente, su cui «il partito salterebbe per aria», come avverte un esponente della minoranza, in caso di cedimenti sulla linea del pacifismo filo-russo che accomuna Conte, sinistra e Salvini. Così ha aperto alla possibilità di affidare l'incarico di responsabile Esteri della segreteria (se non addirittura il posto di vice) al bonacciniano Alessandro Alfieri, sulla cui posizione filo-atlantica non ci sono dubbi. «Vedrete che sull'Ucraina la nuova segretaria terrà la barra dritta», ha rassicurato i suoi l'ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha avuto un colloquio con la Schlein sabato scorso, e proprio su questi temi.
La sinistra interna però storce il naso e fa resistenza sulla eventuale nomina di Alfieri e sulle aperture alla minoranza. E infatti le trattative sul nuovo organigramma sono ancora in alto mare, e si definiranno solo nei prossimi giorni.
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