Dove le persone comuni vedono un'opportunità, l'ex premier Giuseppe Conte vede una tassa. E, badate bene, non un balzello minimo, seppur indigesto, ma una gabola fiscale che ha portato la tassazione indiretta per le società di scommesse sportive al 111%. Mettendo così diversi concessionari nella scomodissima posizione di dover lavorare in perdita per un anno e mezzo, fino a fine 2021.
Per inquadrare meglio la situazione bisogna riavvolgere i nastri della storia al maggio di un anno fa, quando il governo giallorosso firmò il decreto Rilancio da 55 miliardi di euro. All'interno del testo, per far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo, si prevedeva anche che una quota (lo 0,5%) della raccolta delle scommesse sportive fosse destinata sino al dicembre del 2021 alla costituzione del cosiddetto «Fondo salva sport».
Ma è qui che iniziano i guai, soprattutto per le quattro società di scommesse operanti nel settore del cosiddetto betting exchange, (scommesse a distanza a quota fissa con interazione diretta fra giocatori), dove i concessionari non effettuano alcuna attività di effettiva raccolta, limitandosi a mettere in contatto singoli giocatori intenzionati a scommettere direttamente tra loro.
Ora bisogna fare due calcoli per comprendere come si arriva al 111% di tassazione. Su ogni 100 euro raccolti il betting exchange ha una marginalità media di 55 centesimi, ma tra prelievo ordinario e quello straordinario dello 0,5%, il fisco pretende 61 centesimi di euro: il 111% dei ricavi.
Le quattro società coinvolte (Betfair, Betflag, Betpoint e Casinò di Venezia), fiutano l'aria e si rivolgono al Tar, che esamina il testo governativo e dà loro ragione: il provvedimento è iniquo e viene rimandato all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la dovuta correzione.
Ma è qui che il meccanismo si inceppa di nuovo. L'Agenzia non fa altro che riemettere lo stesso provvedimento, salvo aggiungere beffardamente «sentiti i diretti interessati...».Il banco vince sempre? Non quando al tavolo è seduto Conte.
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