Se l'indignazione diventa ipocrisia

Non esistono mezze misure. Non possono esserci toni soft. Quello che è successo a Rafah è inaccettabile

Se l'indignazione diventa ipocrisia
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NNon esistono mezze misure. Non possono esserci toni soft. Quello che è successo a Rafah è inaccettabile. E non è possibile definire l'attacco israeliano che ha causato la morte di decine di civili inermi «un errore». No, si tratta semmai di un orrore, senza se e senza ma. Una strage. Esattamente come quella di qualche giorno prima a Kharkiv, in Ucraina, dove un missile russo ha ucciso decine di persone che nulla avevano a che fare con la guerra di Putin. C'è un problema però. L'opinione pubblica mondiale, così come quella di casa nostra, si indigna (a ragione) per i civili uccisi nella Striscia di Gaza. Manifestazioni di piazza, cortei, università occupate, iniziative parlamentari, proteste, battaglie social molto di moda e appelli di vario genere. A volte sbagliando mira, ma poco importa. Legittimo indignarsi. Il problema è che in due anni e mezzo di guerra in Ucraina i civili morti per mano russa sono stati migliaia. Per loro, niente mobilitazioni? Niente occupazioni? Nessun appello pubblico contro la Russia che colpisce o la Nato che lo permette o l'Onu che non interviene? Ma va, c'è anzi chi fa lo stratega da salotto inneggiando a una pace farlocca che invece sarebbe una resa. L'ipocrita realtà di questi giorni dimostra che ci sono civili uccisi che fanno rumore e altri per cui ci si può anche girare dall'altra parte. Perché alcuni morti indignano più di altri.

Eppure il sangue di donne, bambini e persone innocenti ha lo stesso colore, a Gaza e a Rafah, come a Kharkiv e a Mariupol. O in Siria. In Burkina Faso. In Yemen. E il sangue degli innocenti è inaccettabile. O sempre o mai.

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