«Sei figlia di uno stupro, non ti voglio»

Adottata cerca la vera madre. Che risponde anonimamente: «Non ho scelto di averti»

Andrea Acquarone

Il dio minore di cui è figlia ha un nome: stupro. Lei, Luisa, 29 anni, adottata quando ancora non poteva sapere, capire, affacciarsi sul mondo, da anni cercava almeno la madre naturale. Disperatamente. Andando per vie legali, rivolgendosi alla stampa, fino ad arrivare alla trasmissione Chi l'ha visto? Ha scoperto, però, che anche una dea può essere piccola. Meschina, debole, crudele, così come del resto raccontano le leggende. «Mamma è tanto che ti cerco, desidero tanto incontrarti», chiedeva supplicando dietro i suoi occhioni blu in una recente puntata della trasmissione di Rai 3. La risposta le è arrivata con una lettera. Senza firma, chissà se autentica o no, ma terribile, disperatamente atroce. Parole che lacerano più di un rimpianto. Di una vita mai vissuta. «Luisa, non ho scelto io di chiamarti così, innanzitutto - si legge nella missiva, condivisa sulla pagina Facebook della trasmissione -. Non ho nemmeno scelto di averti, per me sei solo la più dolorosa ferita che ho avuto a 18 anni, altro che madre naturale. Ero una ragazza, più giovane di quello che sei tu ora. Tutto sognavo e tutto potevo sperare, ma non certo la violenza che ho subito e di cui sei simbolo. Ricordo i suoi maledetti occhi azzurri...», aggiunge l'anonima «madre», ricordando la violenza sessuale di cui è stata vittima. «Per questo ti chiedo di rispettare la mia privacy. Non sbandierare sui media una storia melensa che non c'è. Rispetta il mio dolore e la mia solitudine. Se avessi avuto anche una sola buona ragione per volerti vedere avrei risposto agli appelli del Tribunale, non trovi? Infine, rispetta anche te stessa e, se accetti un consiglio - conclude -, non da una madre ma da una donna ferita, non giocare mai con le vite degli altri e nemmeno con la tua. Ti auguro di crescere nel rispetto, tuo verso gli altri e degli altri verso di te».

Luisa oggi fa la parrucchiera a Falcade, nemmeno duemila anime nel Bellunese. La conoscono tutti e tutti si conoscono. Ma lei non sa da dove arrivi. In questo borgo vive la famiglia che l'adottò. E non c'è bisogno del Dna per essere degni genitori. Per provare e donare amore.

Forse questa giovane donna, dal

carattere battagliero e un malinconico sorriso, adesso si arrenderà. Ma così vuole la legge. Un figlio «NN» (in latino nomen nescio: «non conosco»), un'identità la possiede, pur non conoscendola. E forse talvolta è meglio così.

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