Fuori dai seggi un enorme altoparlante piazzato davanti alla scuola diffonde note allegre e melodiose. La colonna sonora dell'ultima giornata di voto sembra fatta apposta per accompagnare Alexei e Maria con le due figliolette Nastia e Svetlana nella loro festosa marcia verso le urne. Sia Nastia, 10 anni, sia Svetlana, di soli 3, zampettano a ritmo di musica sventolando una bandiera russa ciascuna. Immaginare cosa voteranno il papà e la mamma delle due biondissime creature non è un'impresa. Eppure né Alexei, né Maria intendono lasciar spazio al dubbio. Appena fuori dalla cabina, dove sembra entrato esclusivamente per pudore, Alexei trasforma la scheda, con il «Sì» barrato da un'enorme croce, in una sorta di bandiera sventolata sopra la testa delle bimbe. Un gesto salutato con gioia dalle piccolette prontissime ad applaudire la scelta di papà. Poi quello stendardo, ben spiegato, viene esibito sopra le due enormi urne trasparenti mentre Maria, uscita anche lei dall'urna, immortala con il telefonino il «Sì» del marito. Finalmente la povera scheda, senza il segno di una piega, volteggia nell'urna e s'appoggia sulla decine di altre, aperte come lei, su cui s'intravvede un solo e unico voto.
Ma Alexei non s'accontenta. Chiama Maria, le fa ritirare fuori il telefonino e, mentre lei lo inquadra, lui straccia e fa in mille pezzi un documento dalla copertina blu. «Era il mio passaporto ucraino - spiega - l'ho distrutto perché ora so con certezza che qui tornerà la Russia e lui non mi servirà mai più». Mentre Alexei parla e Maria acconsente ammirata scrutatori e scrutatrici applaudono e sorridono.
«In verità incomincio ad annoiarmi - confessa una di loro - queste scenette durano tre giorni. L'ha lanciata uno sui social il primo giorno ed è subito diventata una recita obbligata da mostrare a parenti e amici». La recita, divertente o meno che sia, resta il segnale di una situazione molto più tranquilla di quella vissuta nella vicina repubblica del Donetsk o nelle regioni di Kherson e Melitopol occupate dai russi all'inizio dell'Operazione Speciale. Se a Melitopol si vive con l'incubo degli attentati, messi a segno con cadenza ormai quasi quotidiana dai cosiddetti diversant o sabotatori ucraini, a Kherson si convive con l'angoscia di una possibile offensiva ucraina. Certo l'offensiva, annunciata già mesi fa dal governo di Kiev, non è mai partita. Tuttavia gli appena 25 chilometri di paludi, canali e acquitrini che separano la città dalle prime linee ucraine non bastano a escludere un'avanzata a sorpresa simile a quella messa a segno a Kharkov. Un'offensiva che da quelle parti ha trasformato in perseguitati e super-ricercati, tutti coloro che confidavano in Mosca.
La situazione di Lugansk è ben più fortunata anche rispetto quella di Donetsk, la repubblica gemella protagonista pure lei, nel 2014, di un referendum indipendentista che l'ha condannata a oltre otto anni di guerra. A differenza di Lugansk, ormai al 99% sotto controllo indipendentista, Donetsk ha ancora il 60% dei territori in mani ucraine. E come se non bastasse il suo capoluogo è martellato dai missili Himars che fanno strage tra la popolazione civile. Qui a Lugansk la Russia ha lanciato, invece, un piano di rifacimento di strade, abitazioni, ed edifici pubblici rivolto a conquistare il cuore e la mente degli abitanti. «Ora dobbiamo solo aspettare la vittoria, poi Putin venerdì annuncerà l'annessione e per noi incomincerà una nuova era» spiega Irina, un'entusiasta studentessa 22enne in attesa dei risultati elettorali davanti al palazzo presidenziale di piazza Taras Shevchenko.
Gli scontati conteggi sembrano confortare il suo punto di vista. Nel Lugansk dopo lo scrutinio del 21,1% delle schede il 97,83% dei votanti avrebbe votato per l'annessione. Un risultato sicuramente bulgaro, ma in parte giustificato. Chi non tollerava i russi ha abbandonato da tempo la regione mentre chi non appoggia il referendum è semplicemente rimasto a casa. Ma tra qui e sperare che la proclamata annessione equivalga a conquistare pace e benessere purtroppo ce ne passa.
E a spegnere le speranze di Irina ci pensano i missili Himars. Nel pomeriggio una salva di 12 testate semina morte e distruzione a Brianka, a meno di 50 chilometri dal capoluogo. Il monito ormai quotidiano di una guerra che da venerdì potrebbe farsi decisamente più micidiale.
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