«Bisogna tenere in piedi la legislatura ad ogni costo. Anche per ragioni umane: qui c'è tanta gente che ha acceso un mutuo e ora deve pagarlo». La confessione a cuore aperto (ma dietro giuramento di anonimato) di un parlamentare grillino illustra con chiarezza quanto sia fragile il muro ufficialmente eretto dai Cinque Stelle contro la collaborazione parlamentare con le opposizioni, Forza Italia in testa.
In realtà, i giallorossi sono tutti appesi al Cavaliere: la maggioranza, alla vigilia di un nuovo scostamento di bilancio e del varo della manovra, deve fare i conti con una realtà molto semplice: in Senato non ha i numeri. E, senza l'aiuto di Forza Italia, il rischio di uno schianto parlamentare si fa assai realistico.
Il Pd lo chiede esplicitamente: Berlusconi ci dia una mano. E con Goffredo Bettini spalanca le porte alla collaborazione politica con l'ex arcinemico, invitando Conte a «raccogliere con generosità i contributi delle forze politiche consapevoli e democratiche, che sinceramente intendono dare una mano».
Ma persino in casa Cinque Stelle, dove la linea ufficiale è «giammai con Berlusconi», la linea ufficiosa è «Berlusconi ci salvi». L'anonimo deputato grillino spiega bene le priorità etico-politiche che spingono la truppa parlamentare pentastellata ad affidarsi alla benevolenza del Cavaliere. Il terrore di tornare a fare i lavavetri ai semafori, e col mutuo dell'accogliente pied-à-terre romano nuovo di zecca sulle spalle, fa decisamente premio sulle remore anti-berlusconiane. Del resto si era già capito quando i Cinque Stelle, zitti e muti (persino l'impavido Dibba), hanno lasciato passare l'emendamento pro Mediaset che il premier Conte ha voluto far inserire nel decreto Covid, per proteggere le tv berlusconiane da scalate estere. Una chiara captatio benevolentiae verso Forza Italia, che nelle intenzioni di Palazzo Chigi dovrebbe funzionare come guinzaglio: se Fi dà un aiutino sottobanco al governo, la protezione viene attivata. Se smette, lo scudo può sempre essere tolto.
Solo che i berlusconiani non sembrano disponibili al do ut des proposto da Conte dietro le quinte. E hanno subito rilanciato: pubblicamente, con la proposta di Tajani, benedetta da Berlusconi, di scrivere insieme la futura manovra post-pandemia. Ufficiosamente, spiegando al Quirinale che non è più tempo di aiuti sottobanco per tenere in piedi il traballante Conte, senza avere voce in capitolo sulle fondamentali scelte politiche del governo. E anche sulla sua composizione: per affrontare la drammatica emergenza in corso, serve anche una squadra in grado di farlo. E l'attuale governo Conte non è palesemente in grado. Non è dunque un caso se domenica il segretario Pd Zingaretti si è sperticato in lodi e aperture al Cavaliere, auspicando di unire le forze «e lavorare insieme per salvare l'Italia». E se ieri Goffredo Bettini ha ulteriormente rilanciato, parlando esplicitamente di rimpasto: «Occorre superare ogni prudenza o valutazione di opportunità e chiamare anche all'interno del governo le energie migliori per competenza e forza politica». Non si tratta di «allargare o cambiare la maggioranza», spiegano al Nazareno, ma di prendere atto che «la situazione è drammatica», l'esecutivo non ha saputo fronteggiare la seconda ondata Covid, e «se la macchina resta così, rischia di andare fuori strada».
Per il Pd, la sponda di Fi sarebbe essenziale per rendere centrale il proprio ruolo (su governo, legge elettorale, Quirinale) marginalizzando M5s. E approfittando della debolezza anche internazionale di Conte, spiazzato dal cambio della guardia alla Casa Bianca. Il reggente grillino Crimi dà l'altolà al dialogo con Berlusconi, ma si tratta di una posizione di bandiera. Le chat dei parlamentari grillini restano in silenzio per tutta la giornata. Nella truppa M5s i contiani lanciano il sospetto di «una manovra per liberarsi di Conte». La linea concordata nei gruppi parlamentari segue questo ragionamento: «No all'ingresso di Berlusconi in maggioranza, ma sì alla collaborazione sui singoli provvedimenti». Perché anche dalle parti del M5s sono preoccupati per la tenuta in Senato. Un deputato fa di conto: «Sarebbe ipocrita dire che non abbiamo bisogno di voti e che la maggioranza sia salda, i numeri in Senato sono un problema».
L'unico timore sono le reazioni dei malpancisti che fanno capo a Di Battista: «Magari guadagniamo venti voti di Fi, ma ne perdiamo dieci dei nostri», spiegano. La priorità, però, resta la stabilità della legislatura. E soprattutto del mutuo.
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