La pandemia ha determinato nell’ultimo anno e mezzo un dibattito su fino a quale punto possa spingersi lo Stato a limitare la libertà dei cittadini per tutelare la loro salute. Il confine tra decisioni assunte per il bene collettivo e scelte contrarie ai principi di libertà sanciti dalle costituzioni è molto labile. Fino a dove può spingersi l’autorità pubblica nel limitare i diritti dei cittadini in nome di motivazioni sanitarie? Qual è il limite che in una democrazia non si può superare? Sono domande che hanno diviso politici, costituzionalisti, giornalisti e cittadini in due grandi gruppi: da un lato chi ritiene diritto alla salute e diritto al lavoro e alla libertà individuale possano convivere, dall’altro chi (pur non ammettendolo esplicitamente) considera sacrificabile ogni altra libertà per tutelare la salute.
Partendo dal presupposto che la salvaguardia della vita umana è un valore primario (d’altro canto i conservatori lo sottolineano in ogni ambito, dalla nascita al fine vita), il rischio di accettare come se niente fosse limitazioni ad altri diritti costituzionali e alla nostra libertà è molto pericoloso perché si crea un precedente e in democrazia non c’è nulla di più pericoloso di un precedente. Oggi è una pandemia, domani chissà, ma se già una volta abbiamo assistito a misure come il coprifuoco, la limitazione degli spostamenti, il lockdown, nulla vieta che possa in futuro accadere di nuovo. Chi di noi si sarebbe immaginato quello che è successo con il coronavirus? Per questo è necessario vigilare e sottolineare sempre la centralità del concetto di libertà nella vita di ognuno di noi.
La libertà si esplicita in diversi ambiti: libertà di movimento, di parola ed espressione ma anche libertà di lavorare che non sempre è stata garantita nell’ultimo anno e mezzo. In tal senso la nostra Costituzione, già dall’articolo 1, parla chiaro: "L'Italia è una Repubblica fondata sui lavoratori". Ovvero, senza lavoro non può esserci libertà e perciò democrazia. Ristoratori, commercianti, titolari di palestre, piccoli e medi imprenditori, più che continuare a ricevere sussidi o aiuti che non coprono neanche in minima parte le perdite subite e rischiano di trasformarsi in mancette inefficaci, vorrebbero poter lavorare liberamente. Visti i numeri sempre più bassi dei contagi, l’avanzare della campagna vaccinale, l’avvicinarsi della stagione estiva, i ceti produttivi e i commercianti chiedono allo Stato di essere messi in condizione di lavorare dopo mesi di chiusure a intermittenza.
La voglia di ripartire dopo i mesi più difficili della pandemia che è purtroppo costata la vita a milioni di persone in tutto il mondo, è tangibile e la maggioranza della popolazione oggi mal digerisce misure con un carattere più deterrente che con una reale utilità da un punto di vista
sanitario come il coprifuoco poco dopo cena.La libertà è uno dei beni più preziosi che l’uomo possa avere, la sua conquista è frutto del sacrificio di chi ci ha preceduto permettendoci di vivere in Paesi liberi.
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