Carlo Fidanza, capo delegazione di Fdi al Parlamento europeo, come legge i risultati di queste Regionali?
«Il risultato per noi è molto soddisfacente. Consolida i numeri di Fdi e il suo ruolo di primo partito della coalizione, ma rafforza anche l'azione di governo; quindi è doppiamente positivo, nel Lazio e Lombardia, un'affermazione notevole che gestiremo in modo equilibrato con gli alleati».
Per Fontana numeri anche migliori del previsto.
«Sì, la situazione è evidentemente inedita, con un governatore non espressione del partito di maggioranza, ma siamo tutti interessati ad aprire una stagione di buon governo, e noi vogliamo lasciare il segno, in una dialettica con gli alleati, nel rispetto del presidente, tenendo conto di nuovi equilibri».
Si avverte questa ma il quadro che esce sembra di stabilità, non umilia nessuno.
«Sì un risultato equilibrato ed equilibratore, che non porta scossoni, dà la possibilità di costruire bene senza aprire tensioni livello nazionale. Fdi poteva anche sperare di avere due punti in più ma è importante questo quadro di tenuta complessiva che rafforza il centrodestra e rafforza la premier».
Qualcuno però evoca fronde interne, facendo anche il suo nome.
«Ho citato Giulio Cesare, parafrasandolo: Se non puoi batterli, prova a dividerli. Sembra la nuova tattica della stampa di sinistra. Una narrazione, nel mio caso, ridicola, anche perché tutti conoscono il rapporto che mi lega a Giorgia Meloni. Sono stato tra i primi ad aderire a questo progetto, cui ho dedicato anima e corpo. Per me questo partito è una seconda pelle e il rapporto con lei è imprescindibile. È una ricostruzione ridicola senza alcun tipo di riscontro nella realtà».
Un partito del 30% non si può gestire come uno del 3 però.
«Va bene, e io ho la fortuna, credo non casuale, di avere tanti amici, anche in Regione. Ma da qui a pensare a fronde...è fuori da ogni logica. Il partito è compatto dietro la leader. Certo ci sono dinamiche territoriali ma niente e nessuno mette in discussione la leadership di Meloni, ci mancherebbe».
Di Europa si parla molto ormai.
«In negativo sì. Momento particolare. C'è stata anche l'irruzione di una trentina di militanti curdi, inneggianti a Ocalan, che hanno interrotto la seduta. L'aula è stata sgomberata. Un fatto inquietante, per una istituzione già tramortita dal Qatargate, che oggi appare anche fisicamente permeabile».
E si parla delle misure green.
«Questa bolla ideologica rischia di fare molti danni. Pensiamo alla direttiva che mette al bando i motori endotermici: rischia di mettere fuori gioco un settore decisivo, che difficilmente potrà riconvertire linee e posti di lavoro. Questa politica irresponsabile condanna l'Italia al deserto industriale. È prevista sì una clausola di revisione nel 2026, ma mi pare difficile dire abbiamo scherzato».
Voi avete votato contro.
«Sì ma c'è una maggioranza di sinistra sui temi green, casa, auto e imballaggi. Questo sarà un tema anche della prossima legislatura, quando un cambio di equilibri potrà favorire un nuovo approccio. Ora possiamo provare a ostacolare provvedimenti così negativi, sperando di non avere più Timmermans come commissario all'ambiente. Purtroppo il Ppe finora è stato troppo spesso subalterno, noi lavoriamo a un cambiamento dell'asse che riproduca in Europa la dinamica italiana: un centro che si allea con la destra».
Anche sull'immigrazione?
«C'è stato un cambio passo nella direzione
giusta dall'ultimo Consiglio grazie all'azione tenace di Meloni su confini e rimpatri. Speriamo che la commissione lo traduca in iniziative legislative, bisogna stringere per avere strumenti che diano risposte immediate».
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