Le femministe aprono la stagione della caccia all'uomo. Di destra. E, badate bene, quello che hanno fatto due giorni fa a Milano le attiviste di «Non una di meno» non ha nulla a che fare con la difesa delle donne, anzi danneggia la causa stessa. Appendere manifesti in cui si accusano Ignazio La Russa e il figlio di essere stupratori è semplicemente un attacco politico che non c'entra un accidenti con le rivendicazioni di genere. È un'aggressione politica messa in atto con la scusa di una presunta aggressione sessuale. Le indagini su Leonardo La Russa - accusato di stupro da una ventiduenne - sono ancora in corso, ma il collettivo femminista ha già emesso una duplice e inappellabile condanna di colpevolezza: figlio e padre sono colpevoli. Non esiste garantismo quando di mezzo c'è qualcuno che ha a che fare con la destra, ma solo un feroce giustizialismo che, trasformando l'inchiesta in una corrida sfrenata, finisce per danneggiare anche la ragazza che ha sporto denuncia. Alla faccia dei diritti delle donne. Ma lo spirito dell'associazione femminista emerge chiaramente dal comunicato con il quale hanno rivendicato i manifesti affissi vicino agli uffici del presidente del Senato e ai locali della movida meneghina: «Vogliamo cacciare La Russa da ogni incarico pubblico. Vogliamo chiusi i locali della famiglia e lo studio legale su cui si fonda il loro potere economico e politico, vogliamo requisiti i loro soldi affinché siano devoluti ai centri antiviolenza». Non c'è neppure una riga dedicata alla presunta vittima, ma solo un attacco sguaiato, arbitrario e violento volto a decapitare politicamente ed economicamente la famiglia del numero uno del Senato. Il tribunale popolare delle talebane femministe ha emesso la sua condanna: «Lo stupratore non è malato ma figlio sano del patriarcato. E in questo caso anche di un rivoltante, dichiarato, fascista», scrivono sul loro profilo Instagram ufficiale.
Le indagini ancora in corso? Non contano nulla, a loro interessa solo la gogna mediatica, la condanna politica, la crocifissione pubblica. Per intenderci: sono le stesse sincere democratiche che hanno impedito di parlare al Salone del libro di Torino al ministro Roccella. Più che con le questioni di genere hanno grossi problemi con la democrazia.
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