Si riapre il caso Regeni. Il diktat dei grillini: convocare le Camere

M5s e Lega all'attacco. I sospetti di Pd e Ap: ora che il nostro ambasciatore torna in Egitto?

Si riapre il caso Regeni. Il diktat dei grillini: convocare le Camere

Una spy-story capace di trascinare nel baratro una legislatura, la XVII, già di per sé sfortunata. Ma anche una bomba a orologeria sotto il Nazareno, Palazzo Chigi, la Farnesina. Le cui ripercussioni potrebbero investire la politica italiana nel Nord-Africa, con i suoi interessi legati al gas (Eni) nonché al freno dell'immigrazione. In alternativa, polverone sollevato dalla maggioranza per coprire errori e inefficienze.

Affare torbido già lo era, la morte del povero Regeni, ma le rivelazioni del New York Times all'indomani del ritorno del nostro ambasciatore al Cairo sembrano proprio l'ingrediente che mancava alla detonazione. Mente Obama o mente Renzi?, si chiede il leader leghista Salvini ed è chiaro che questa è solo la prima delle domande cruciali sulla vicenda. Davvero il nostro premier dell'epoca fu informato nelle prime settimane del coinvolgimento dei servizi segreti egiziani? E quali provvedimenti prese? La smentita diramata ieri dalla Presidenza del Consiglio, fonti non meglio precisate, si limita a sottolineare come «non furono mai trasmessi elementi di fatto, né tantomeno prove esplosive». Ma è lo stesso NYT a dirlo, e dunque la nota sembra confermare soltanto una gestione a dir poco «leggera» da parte dell'ex premier. «Se mentisse l'italiano Renzi, mi aspetto dimissioni domattina da parte di qualcuno perché c'è di mezzo la vita di un nostro connazionale», entra a gamba tesa Salvini.

Il capo leghista non è l'unico esponente d'opposizione a indignarsi e pretendere di far luce - pure con una convocazione straordinaria del Parlamento affinché il governo sia chiamato a riferire. Lo chiede la sinistra in ogni sua componente (da Civati a Si, a Mdp), lo reclamano a gran voce i grillini. «Quanto scritto dal NYT è gravissimo - dice Di Battista - e chiama in causa quattro personaggi oscuri che da più di tre anni tengono in mano il Paese a proprio uso e consumo: Renzi, Gentiloni, Minniti e Alfano». A insospettire non solo le opposizioni è la tempistica del ritorno del nostro ambasciatore al Cairo. Un segnale dato ad Al Sisi che «scagiona definitivamente il nostro Paese dal sospetto di un coinvolgimento nell'uccisione del ricercatore italiano», come sosteneva ieri una (lesta) deputata egiziana, oppure una mossa preventiva per attenuare i contraccolpi delle rivelazioni provenienti dagli Usa? Oppure una resa al governo del Cairo, che sta esercitando la sua influenza nell'area per bloccare il traffico di migranti dalla Libia (come sospettano Amnesty, Manconi e la sinistra)? O, ancora, queste rivelazioni Usa sono invece una «bufala», un «depistaggio», il «tentativo di destabilizzare l'Italia» per non farla tornare nell'area, dove i francesi (e non solo) avrebbero approfittato della nostra latenza diplomatica? Dalla maggioranza si adombra più di un sospetto, e uno dopo l'altro, si affastellano le congetture di Casini, Latorre, Romano, Cicchitto (che addirittura parla di «polpetta avvelenata» fornita al NYT da non si sa chi, la Cia?).

I fatti parlano solo di un ragazzo morto, di una gestione della vicenda torbida e sconcertante, di una Commissione d'inchiesta che sarebbe la pietra tombale sulla verità. Poi ci sono le chiacchiere: come sempre, arma a doppio taglio. Chi davvero sa, ora parli. E non taccia per sempre.

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