Siamo assuefatti all'orrore. E così amplifichiamo solo la propaganda dei terroristi

Una sola fotografia va fatta conoscere a tutti. Una sola immagine: la bambola con il vestito rosa, adagiata sull'asfalto della strada, che pare dormire insieme alla sua padroncina distesa lì, accanto, coperta da un telo di plastica

Siamo assuefatti all'orrore. E così amplifichiamo solo la propaganda dei terroristi

Una sola fotografia va fatta conoscere a tutti. Una sola immagine: la bambola con il vestito rosa, adagiata sull'asfalto della strada, che pare dormire insieme alla sua padroncina distesa lì, accanto, coperta da un telo di plastica. Passerà il tempo, ma questa fotografia rimarrà come il simbolo di quanto possa essere spietato l'essere umano. Tutto il resto non serve, sono immagini che soddisfano la curiosa morbosità della gente, ma non aggiungono nulla alla conoscenza della tragedia, né a crearne una vera consapevolezza. Sono assolutamente d'accordo nella decisione di non trasmettere per televisione scene dell'attentato, di non pubblicare foto sulla strage di Nizza: pornografia dell'orrore.

Una decisione non così banale da supporre che quelle immagini diventino un perverso strumento mediatico in grado di potenziare la propaganda dei terroristi. Certo, la realtà va documentata, ma c'è un imperativo etico che suggerisce la decenza, il rispetto del dolore. Voi pensate davvero che tutte le immagini di quella notte, riprese dai cellulari e messe in rete, siano state scattate e pubblicizzate per far conoscere i fatti? Ma di cosa stiamo parlando! Rappresentano piuttosto il voyeurismo narcisistico delle persone che appena possono fotografano tutto quello che capita sotto il loro il naso. È il nuovo delirio fotografico.

I mezzi di comunicazione ignorino questa ipertrofia dell'immagine e chiedano ai propri giornalisti di scrivere, raccontare per poter restituire dignità alla realtà, ripulendola dalle immagini in competizione tale tra loro per raggiungere il raccapricciante, lo sconcertante. Raccontare, scrivere, invece, per dare alle parole quel peso, quel significato culturale di un dramma che la suggestione dell'immagine non raggiunge. Facile toccare i sentimenti con le emozioni, molto più vero e profondo parlare al cuore con la ragione.

E poi c'è ancora un altro motivo che mi fa stare dalla parte di chi chiede «il silenzio dell'immagine». L'indifferenza è il virus più pericoloso del nostro tempo. Si pensi a quanto sia prepotente l'indifferenza perfino verso i valori più importanti della nostra vita: dalla democrazia alla famiglia, dall'educazione scolastica a quella religiosa. Stiamo diventando indifferenti anche di fronte all'immagine del nuovo terrore islamico. Ci si può indignare osservando le foto delle stragi di Nizza, ma l'indignazione sta avendo una durata sempre più breve, stiamo assuefacendoci alle immagini dell'orrore.

Per capire la bestialità del terrorista di Nizza e la carneficina dell'attentato, basta soltanto quella foto della bambola vestita di rosso, con accanto il corpo senza vita della sua padroncina. Quella foto è un simbolo: e allora si, soltanto per eguagliare la potenza evocativa di quell'immagine ci vuole la penna di chi sa davvero emozionare con la lucidità della ragione.

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