Segretario Renzi, qui sembrate tutti uniti, com'è che poi a Roma litigate di brutto? «Ehhh... bisognerebbe chiederlo agli altri, io più che mandare Fassino a mediare non potevo fare!». Fassino, combinazione, è lì accanto. Stessa domanda, e lui: «Eh, io ci ho provato!», e alza gli occhi al cielo, intabarrato eppure infreddolito. È mezzogiorno di ieri, e a un turista che passasse per caso sul lungolago di Como, ignaro degli algoritmi della politica, la sinistra italiana apparirebbe coesa e pugnace come non mai: le bandiere del Pd sventolano accanto a quelle di Mdp e di Sinistra Italiana, i postpartigiani dell'Anpi cantano Bella Ciao insieme ai vili che volevano smantellare la Costituzione e i sindacalisti della Cgil applaudono insieme ai traditori che hanno votato il Jobs act. Insomma, una salutare rimpatriata tra compagni che una volta si erano tanto amati, e oggi vagano lacerati e contusi.
A realizzare il piccolo miracolo sono state le quindici teste rasate di Vicenza che il mese scorso hanno fatto irruzione in una sala parrocchiale qui vicino, arringando con fare minaccioso i partecipanti a una riunione pro-migranti. L'episodio è divenuto simbolo di due emergenze vere o presunte e comunque in parte sovrapponibili, l'ondata xenofoba che percorrerebbe il paese e la recrudescenza neofascista; ne è seguita legittima e diffusa indignazione, culminata nella indizione della manifestazione di ieri, «E questo è il fiore», «contro ogni fascismo e ogni intolleranza».
Così eccoli qui, a ritrovarsi tutti insieme, gli uomini e le donne della diaspora postcomunista. Non ci sono a guastare la festa con qualche fischio né i grillini né i centri sociali, che per i rispettivi motivi se ne sono rimasti a casa; e questo aiuta (o dovrebbe aiutare) una parvenza di sinergia, un afflato unitario che in nome del nemico comune metta da parte le coltellate di ieri e probabilmente di domani. Ma la realtà è dura da mettere a tacere, anche se una accorta regia ha eliminato dalla scaletta tutti gli interventi dei politici di mestiere, e sul palco salgono ragazzi che recitano stralci del poco Pantheon ancora unificante, da Pertini a Calamandrei a don Mazzolari. Ma la playlist a base di De Gregori e Mameli non basta a fare finta che tutto vada bene. E appena Renzi si materializza tra la folla c'è uno col fazzoletto dei deportati ad Auschwitz che lo abborda, lui sorride tutto contento, e l'altro gli dice brusco in faccia: «Meno arroganza!».
D'altronde le vittime del fattaccio che ha originato tutto questo, quelli riuniti nel chiostro, è gente che col Pd ha ben poco a che fare. Lo spiega bene la giovane e bionda Anna Maria Francescato, che la sera dell'irruzione si è trovata faccia a faccia con i fascisti vicentini: e dal palco se la prende con loro ma se la prende e a brutto muso anche col governo targato Pd, accusandolo di «rastrellamenti», di «logiche militari», di «accoglienza scadente»: al punto che lo speaker ufficiale subito dopo si sente in dovere di metterci una pezza, «l'Italia si sobbarca il peso di salvare tante vite umane, sono orgoglioso di essere italiano».
Renzi non sale sul palco. Resta pigiato nella folla insieme a buona parte della nomenklatura, cinque ministri, la Boldrini, la Camusso; ma i sottovoce più insistenti li riserva al nuovo entrato del piccolo Gotha, l'inviato delle Iene Daniele Piervincenzi, reduce dalla frattura del naso durante l'intervista a un coatto di Ostia. Dal palco scende Zoe, piccola e mora, che ha letto la lettera di un partigiano condannato a morte: «Ciao Zoe», le dice Renzi, e fa per abbracciarla, ma lei lo saluta appena e scivola via. Forse è solo timida.
O forse come tanti altri ha in mente i «lager libici», i «respingimenti», i daspo urbani, insomma l'armamentario sicuritario di cui il Pd si dota per rispondere in qualche modo alle paure del paese: e che per tanti, in questa piazza, sono robe invece da fascisti, come quelli che chiusi in un albergo, a trecento metri da qui, annunciano la loro improbabile rivoluzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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