«Ho già fatto quattro legislature, ci siamo dati delle regole e dunque la mia non ricandidatura è poco contestabile, anche se la matematica e la politica dovrebbero essere due cose diverse». Salvatore Margiotta, senatore uscente del Pd eletto in Basilicata, non ha alcuna intenzione di lamentarsi per l'esclusione: «Ne prendo atto». Ma ha molto da dire sulla linea politica del suo partito, e su un tema che gli sta molto a cuore: il garantismo. Che, a sinistra, «sembra troppo spesso un valore dimenticato».
Senatore Margiotta, ieri lo psicanalista Massimo Recalcati denunciava la deriva «populista» del Pd. Lei la teme?
«La linea di questi anni è stata oggettivamente smentita dai fatti, e dopo il voto questo tema andrà affrontato in un congresso. Abbiamo perso anni a inseguire i 5Stelle sul loro terreno, poi ci siamo inventati il 'campo largo' che doveva tenere tutti insieme. Poi abbiamo escluso Renzi, litigato con Calenda e oggi ci ritroviamo col solo Fratoianni e i residui di Leu. Ma il populismo di sinistra viene da lontano, purtroppo, e sempre sottobraccio al giustizialismo».
In che senso?
«L'ondata è partita fin dal 1992, con Tangentopoli: da allora, il centrosinistra insegue affannosamente quello che Manzoni chiamava 'il senso comune', mentre il buon senso, per paura, sta nascosto. Da allora la politica ha piegato il capo e non lo ha più sollevato. Abbiamo abolito i vitalizi, con Bersani nel 2012, col risultato che nessuno se lo ricorda e il merito e i voti se lo son preso i grillini. Abbiamo consentito le intercettazioni dei parlamentari, dimenticando che era una garanzia a favore dell'opposizione, per impedire che venisse condizionata da governo e magistratura, e non una difesa dei malfattori. Siamo arrivati, come Pd, ad astenerci in commissione sull'acquisizione delle mail di un senatore, perchè si chiamava Matteo Renzi. Sono tutte scelte che gravano pesantemente sul Pd e sul suo futuro. Ed è singolare che a darci una lezione di garantismo antipopulista a un partito che si dice riformista debba essere un vecchio comunista come Ugo Sposetti».
Ugo Sposetti si è rivolto a Letta e ha perorato la causa della candidatura di Luca Lotti, poi rifiutata dal Pd.
«La sua mancata candidatura è un atto grave, in cui pesano rancore politico e incredibile ipocrisia. Luca si era autosospeso dal Pd per intercettazioni illegittime in una vicenda, quella del Csm, su cui non era neppure inquisito. Escluderlo è una feroce negazione del valore del garantismo: Luca è innocente fino a prova contraria, e il suo partito doverebbe sostenere questo principio costituzionale. O siamo diventati come Conte, che equipara giustizialismo e garantismo ingnorando che il garantismo è scritto in Costituzione? Ed è anche una ipocrita sottovalutazione del ruolo che noi vituperati 'ex renziani' abbiamo avuto, scegliendo di restare nel Pd dopo la scissione: se ce ne fossimo andati, il Pd al Senato non avrebbe più avuto neppure il gruppo...».
Il garantismo non sembra al centro del programma Pd. E pure l'agenda Draghi pare dimenticata.
«Già, è bastata una settimana... Quanto al garantismo, siamo sempre stati in pochini a tenere accesa la fiammella, dopo la breve stagione anti-giustizialista del governo Renzi. Pochissimi, come me, quelli che sui referendum hanno preso posizioni diverse da quelle del Pd. Ma è sicuramente un caso che siamo tutti finiti fuori dalle liste elettorali».
Lei ora che farà?
«Ho un bellissimo lavoro, ingegnere e docente universitario. Ma non intendo abbandonare la vita politica e istituzionale».
Una minaccia?
«No, una promessa».
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