La soluzione Onu per la Libia Blocco navale (come col raìs)

La trattativa tra le fazioni langue, il mediatore lancia l'idea e Gentiloni gli va appresso. Ma per ipocrisia si tace sugli scopi: fermare l'ondata di immigrati

L'ipocrisia ormai regna sovrana. Per capirlo basta leggersi le reazioni all'intervista al Corriere della Sera in cui l'inviato delle Nazioni Unite Bernardino Leon ipotizza di bloccare il traffico di umani dando il via a un blocco navale ratificato dal voto del Consiglio di Sicurezza. Un voto capace, come il famoso bacio del principe, di trasformare un rospo in principessa. Il rospo lo conosciamo bene. Non si chiamava blocco navale e non vantava né riconoscimenti internazionali, né le benedizioni del Palazzo di Vetro. Si chiamava politica dei respingimenti e puntava allo stesso scopo. Ovvero a rispedire al mittente i barconi messi in mare dai trafficanti di uomini.

Ma di quell'ingrugnito rospo partorito dal governo Berlusconi e affossato nel 2012 dagli anatemi della Corte Europea di Strasburgo nessuno sembra volersi più ricordare. Rinato sotto le forme di sorridente principessina grazie al bacio di Leon, ammalia i politici italiani e i paesi europei spingendoli a sottoscrivere l'idea di un bel blocco navale capace, come già facevano le nostre motovedette, di arginare all'origine il flusso di migranti rispedendoli verso le coste libiche. A differenza di un tempo quando veniva considerata semplicemente «ignobile» l'operazione di respingimento dei migranti rischia - seppur resuscitata, imbellettata con il pretesto di bloccare anche il traffico di armi e santificata dal voto Onu - di rivelarsi così complessa da rasentare l'impossibile. Come fa capire persino Leon qualsiasi risoluzione Onu in grado di legittimare un'operazione militare sul territorio della Libia o davanti alle sue coste richiede - come indispensabile prerequisito - un accordo tra le fazioni islamiste di Tripoli e Misurata e quel governo di Tobruk, considerato fin ad oggi l'unico esecutivo legittimo da Italia, Unione Europea e nazioni occidentali. Un accordo reso assai complesso dall'alto livello di litigiosità. Non a caso le fazioni libiche - riunite da giovedì a Rabat per cercare un'intesa - sono riuscite solo ieri a sedersi allo stesso tavolo. E solo per un incontro definito informale e non negoziale.

Intanto Gentiloni promuove una maggior presenza navale e Renzi si limita a chiedere di «evitare allarmismi e numeri a casaccio sull'immigrazione». Ma dietro l'ipocrisia di un blocco navale destinato a resuscitare la politica dei respingimenti e trasformarla in strategia internazionale se ne nasconde un'altra chiamata intervento armato. Una parola ancora impronunciabile, ma la cui essenza e il sottile distillato percorrono persino le dichiarazioni, della mansueta Federica Mogherini.

Venerdì, stando alla Reuters , l'Alta Rappresentante per la politica estera della Ue avrebbe accennato alla possibilità di dar vita a una squadra europea in grado di monitorare un cessate il fuoco tra le varie milizie e proteggere le infrastrutture strategiche. Un'operazione armata che di solito risponde al nome di missione di peacekeeping e viene già soppesata sia a Roma, sia nelle altre cancellerie europee. Un'operazione che si renderà ineluttabile se l'avanzata dello Stato Islamico metterà a rischio città e vasti tratti di coste. O se la pressione esercitata dal milione di migranti pronti, secondo il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri, a prendere il mare si rivelerà non più arginabile. A quel punto l'intervento si renderà indispensabile anche al di là della volontà o della disponibilità di tutti gli attori libici. Un'ipotesi già valutata negli incontri di Matteo Renzi con Vladimir Putin e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sissi.

Un'ipotesi che ha fatto da sottofondo anche al vertice di Parigi tra il segretario Usa John Kerry, l'omologo francese Laurent Fabius e Federica Mogherini.

Insomma mentre si discute, si tratta e si finge di sperare è già incominciata la preparazione delle armi. Perché «si vis pacem para bellum » ovvero «se vuoi la pace prepara la guerra».

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