Khelif, lacrime all'urlo di Allah akbar. La Carini rifiuta il maxi premio dell'Iba

L’atleta intersex algerina in semifinale e sicura medaglia. Dall’associazione internazionale 50mila dollari all’azzurra

Khelif, lacrime all'urlo di Allah akbar. La Carini rifiuta il maxi premio dell'Iba
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Parigi Alla fine l’ha detto, ha tirato il colpo che non vale un buffetto sul naso come quello preso da Angela Carini. «Questa è una vittoria per tutte le donne. È una questione di dignità ed onore. E sono orgogliosa di avere conquistato una medaglia per il mio Paese. Allah Akbar». Se parliamo di sport, Imane Khelif ha vinto la sua battaglia. È in arrivo una medaglia. Vincere la semifinale contro l’ungherese Anna Luca Hamori, lucidamente spavalda e senza paura, la porterà al bronzo nella categoria 66 kg: la boxe premia a pari merito terza e quarta. Poi quel che sarà il destino futuro delle Intersex nella boxe sarà tutto da scoprire. Il Cio è già in abbondante ritardo e poco conta che il dormivegliante Bach abbia voluto darci un taglio dicendo: «L’unica base di valutazione è la scienza. I dibattiti politici portano odio».

Bastava evitarli dando un occhio alle idee della federazione internazionale di atletica che, dopo il caso Semenya, ha seminato nuove regole. Comunque ieri nell’Arena nord parigina dove bandiere applausi e cori algerini soffocavano tutto e tutti, e i “buuu” si sono eventualmente sprecati per l’ungherese, la boxe ha detto che si può combattere contro un Intersex, se così vogliamo chiamare Khelif. Basta saper combattere. L’orgogliosa ungherese lo ha dimostrato con i fatti, subendo pugni sul naso senza batter ciglio. L’algerina è una discreta combattente, solo discreta. Nel match precedente si battevano Bussenaz Surmeneli, turca favorita dai pronostici, e la thailandese Janjaem Suwannapheng che, invece, ha vinto con largo margine. Eppure a tanti sarà venuto qualche dubbio: ma che donne sono? La thailandese aveva muscolatura e movenze degne di un uomo. Saranno guai veri per Imane, altro che «di che sesso sei?». Ieri l’algerina si è liberata con un 5-0 dell’avversaria. Eppoi l’abbiamo vista umana nel pianto liberatore, nazionalista con un segno sul ring e quel saluto militare girandosi per i lati del ring, cavalleresca andando ad alzare le corde in onore dell’avversaria che se ne andava, rabbiosa quando ha evitato di parlare con la stampa internazionale ed ha accettato di farlo solo con Tv e media algerini.

Quel mondo che l’ha assalita per colpe, se di colpe si tratta, non addebitabili l’ha resa rabbiosa. Finora nessuno si era lamentato di una sorta di diversità. Racconta: «Sono orgogliosa di essere qui. Il popolo arabo mi conosce da anni, per anni ho praticato boxe nelle competizioni internazionali. Loro (la Iba, ndr) sono stati ingiusti con me (la squalifica al mondiali, ndr). Ma io ho Dio». Amen. Arrivederci alla semifinale di martedì.

Invece gli ungheresi hanno fatto sapere: «Arrivederci al Cio». Balazs Furjes, membro del comitato ungherese, dopo chiacchiere imbellettate sulla famiglia olimpica, ha concluso: «Abbiamo sempre combattuto con coraggio, ma le gare di Parigi hanno portato a conseguenze per il futuro. Siamo convinti che il Cio prenderà le decisioni necessarie».

Invece la spavalda Hamori è stata sportiva: «Mai pensato di non combattere. Buona fortuna alla mia avversaria». Angela Carini potrebbe imparare qualcosa.

Intanto la Federboxe, legata al Cio, ha annunciato che la pugile non accetterà il premio (50mila dollari?) che l’Iba vorrebbe consegnarle per la battaglia contro Imane. Fra Iba e Cio è guerra senza esclusione di trovate.

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