Dopo giorni di profluvio torrenziale su Twitter, la parola fine alla telenovela tra Enrico Letta e Carlo Calenda arriva durante un'intervista televisiva. A quasi 24 ore di distanza dall'ultimo tweet, il leader di Azione si presenta da Lucia Annunziata, a Mezz'ora in Più su Rai3, per dire che l'alleanza con il Pd è finita. Un connubio durato meno di una settimana, tramontato il giorno successivo alla firma dei patti elettorali stretti dai dem con Verdi-Sinistra Italiana e con Impegno Civico di Luigi Di Maio e Bruno Tabacci. Il passo indietro di Calenda era già nell'aria sabato sera e si è fatto concreto a partire dalla mattinata di ieri.
«No all'alleanza con Letta, l'ho comunicato adesso anche a Dario Franceschini, è stata una scelta sofferta ma non avrei saputo come spiegare una scelta diversa agli italiani. Non si può fare un'alleanza contro», spiega Calenda. L'ex ministro credeva in una «coalizione a due punte tra Azione e Pd», invece si è ritrovato ancora con Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Luigi Di Maio. Per il leader di Azione è contraddittorio il gioco del doppio forno di Letta. Un accordo di governo con i calendiani e Più Europa, un patto per «salvare la Costituzione» con i partiti a sinistra del Pd. «Non mi sento a mio agio, non c'è dentro coraggio, bellezza, serietà e amore di fare politica», spiega Calenda. Che aggiunge: «C'erano due pulsioni, una a fare un accordo di governo, l'altro a fare il comitato di liberazione nazionale. Ha prevalso il secondo». Ma c'è anche chi pensa che la decisione di Calenda sia maturata osservando l'evoluzione della campagna elettorale di Matteo Renzi. L'ex ministro secondo fonti del centrosinistra temeva di diventare il capo di una succursale del Pd, lasciando spazio a Renzi al centro.
«Quando abbiamo fatto l'accordo ci siamo detti che dal giorno dopo un pezzo della coalizione non avrebbe bombardato l'agenda Draghi, a questa proposta si sono aggiunte personalità che gli italiani non vogliono più vedere, è arrivato di tutto Di Maio, Di Stefano», prosegue Calenda. «Ho commesso l'ingenuità di pensare che il Pd avrebbe rappresentato la sinistra», il ragionamento del leader di Azione. «Mi scuso con gli italiani, li ho tenuti appesi a una scelta, Letta sapeva cosa sarebbe accaduto, l'ho avvertito ieri», rivela Calenda.
Con Più Europa che conferma l'alleanza con il Pd e parla di «rammarico e sorpresa» per la svolta dell'ex ministro, adesso Azione ha davanti una strada in salita. Si perché il partito di Emma Bonino esentava Calenda dalla raccolta firme per correre alle elezioni. Ora la strada più naturale sembra quella di un recupero del dialogo con Italia Viva di Renzi. L'obiettivo è creare un terzo polo che secondo ambienti renziani ha le potenzialità per superare il 10% e magari arrivare al 15%. Grazie al simbolo di Renzi, che ha gruppi parlamentari autonomi, Azione eviterebbe la corsa contro il tempo della raccolta firme. La grande maggioranza degli studiosi, tra cui il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti, sostiene che la formazione di Calenda, in caso di corsa solitaria, sarebbe obbligata a raccogliere le firme. Per il prof. Giovanni Guzzetta si tratta di «un tema molto discusso». Ma poi precisa che anche secondo lui «Calenda dovrebbe raccogliere le firme». Il leader di Azione non esclude la raccolta firme, ma è ovvio che adesso guarda all'accordo con Renzi, che ha già fatto sapere di essere disponibile per il terzo polo e ieri ha chiuso l'accordo con Federico Pizzarotti. Certo, nemmeno questo sarà un confronto tranquillo. A partire dall'incognita dei nomi nel simbolo di un'eventuale lista unica e alle asprezze caratteriali dei due protagonisti.
«Nei prossimi giorni parlerò con Renzi, ma gli dico che non si fa la politica contro chiunque, per ora ho ricevuto una quantità di contumelie da parte dei renziani che nella mia vita non mi era mai capitata», dice Calenda. Ma la strada del terzo polo sembra obbligata.
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