Un sostituto all'altezza delle sfide

Il messaggio di fine anno del presidente Sergio Mattarella, come in un gioco di scatole cinesi, contiene due messaggi di carattere istituzionale.

Un sostituto all'altezza delle sfide

Il messaggio di fine anno del presidente Sergio Mattarella, come in un gioco di scatole cinesi, contiene due messaggi di carattere istituzionale. Il primo è l'ennesima risposta a una sinistra consapevole che il destino non è più nelle proprie mani e perciò scongiura l'inquilino del Quirinale di non piantare baracca e burattini per non bere l'amaro calice di un nuovo capo dello Stato designato stavolta meglio tardi che mai dal centrodestra. Ma più la sinistra lo scongiura di rimanere al suo posto e più lui s'infastidisce perché non gli piace essere tirato per la giacchetta. Tanto più che la sullodata sinistra è specialista in gaffe. Si accontenterebbe di una rielezione a tempo, quasi che fosse concepibile un capo dello Stato a mezzo sevizio. Una cosa che Mattarella ritiene intollerabile.

Ma dove sta la novità dell'ennesimo diniego? C'è e si vede. Perché stavolta non si accontenta di sottolineare nelle prime righe del messaggio che «tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di presidente». No, si abbevera alle parole usate nello Scrittoio del presidente da Luigi Einaudi. Queste: «È dovere del presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce».

Dopo essersi espresso nelle prime righe del messaggio con lessico familiare, Mattarella ritiene opportuno ribadire il suo rotondo no appellandosi all'autorevolezza dello statista liberale, il miglior presidente che la Repubblica abbia espresso. La chiave di lettura sta nella parola «successore». Un successore, concepito come altro da sé. Un modo per dire: «Cari signori, arrangiatevi. Non contate su di me».

C'è dell'altro nelle parole di Einaudi. Piero Calamandrei, più citato che letto, salutò il messaggio d'insediamento di Giovanni Gronchi in questi termini: «Viva vox constitutionis». Ma arrivò con sette anni di ritardo. Perché la viva voce della Costituzione fu quella di Einaudi. Pretese che le nomine dei senatori a vita, nonché dei giudici costituzionali di sua spettanza, fossero una sua prerogativa esclusiva. Nominò Giuseppe Pella alla presidenza del Consiglio senza consultare i partiti, esattamente come farà Mattarella in occasione dell'incarico a Mario Draghi.

Di qui la morale dei messaggi dentro il messaggio, che si può tradurre con queste mie parole: «Vista e considerata l'aria che tira, nessuno si faccia illusioni.

Il mio successore non potrà essere un re Travicello, un maestro di cerimonie, un taglianastri. Come furono i presidenti della Terza Repubblica francese a partire da Jules Grévy. No, sarà, dovrà essere, un presidente all'altezza dei tempi». Vi pare poco?

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