Milano. Dopo il calcio di inizio dato due giorni fa dalla vicepresidente di Regione Lombardia e assessore al Welfare Letizia Moratti con la richiesta al governo di «valutare la possibilità di adottare anche in Italia il vaccino russo Sputnik V», a fronte della necessità di allargare la platea degli approvvigionamenti, ieri si è scatenata la partita tra gli entusiasti. A prendere in mano la palla il ministro alla Salute Roberto Speranza che ha lanciato segnali chiari di apertura: «Sul vaccino russo non dobbiamo avere timori, quello che per noi è importante è il passaggio Ema». Facendo un passo indietro: il 2 febbraio, anniversario della battaglia di Stalingrado, vengono pubblicati su Lancet, i dati preliminari dello studio di fase 3 sulla somministrazione del siero su 20mila persone (con un numero consistente di over 60) che parlano di un indice di affidabilità del 91,5 per cento e del 94% delle reazioni avverse di forma lieve.
Grande entusiasmo da parte dei virologi che parlano di dati «molto interessanti e promettenti» tanto che Mariarita Gismondo allarga subito l'orizzonte: «Andrei a sondare la possibilità di usare anche in Italia sia lo Sputnik sia il vaccino cinese, tutta l'area orientale ha praticamente sconfitto il virus». Massimo Puoti, direttore di Malattie Infettive all'Ospedale Niguarda di Milano e European Expert nel campo delle Malattie Infettive presso Ema, parla di «un'arma molto promettente per il raggio di copertura dei pazienti, compresi gli over 60, il numero di persone testate, una tecnologia utilizzata diversa ma valida e una grande maneggevolezzadel siero, che può essere conservato tra i 2 e gli 8 gradi».
Tirano il freno a mano i rappresentanti delle istituzioni sanitarie e degli enti regolatori, invocando il massimo dei controlli e il rispetto delle regole comunitarie, soprattutto in contrasto a chi spingeva per bypassare l'Ema. Ai primi segnali di apertura da parte dei Paesi europei, la Russia ha preso contatti con l'azienda biofarmaceutica tedesca Idt Biologika di Dessau nella Sassonia-Anhalt per verificare le capacità produttive nell'Ue. Trovare un nuovo partner per la produzione è necessario per ottemperare alle leggi comunitarie che impongono che l'ultimo miglio della fabbricazione avvenga «in loco» (lo stesso problema a cui andrà incontro anche il vaccino Janssen di Johnson&Johnson - in attesa del via libera dell'Ema a febbraio. L'ultima fase per molti lotti avverrà negli Usa per rispettare i tempi di consegna). Il Fondo di investimenti diretti (Rdif) che produce il siero di Putin ha affermato di essere in grado di distribuire nel secondo trimestre di quest'anno 100 milioni di dosi di vaccino, una volta avuta l'autorizzazione dell' Ema.
Per superare il primo scoglio autorizzativo ci vorranno «almeno un paio di mesi» secondo le stime del direttore generale dell'Aifa, Nicola Magrini. Invoca non solo controlli stringenti ma anche il rispetto di regole comuni Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, ribadendo che «non ci sono pregiudizi su nessun vaccino: abbiamo bisogno di tutte le possibilità, ma all'interno di un sistema di regole - precisa - e avendo come orizzonte la solidità dei dati scientifici. Più armi abbiamo e meglio possiamo combattere. Non possiamo considerare l'Agenzia europea del farmaco - puntualizza Ippolito - solo quando ci serve e invocare l'autorità nazionale quando pensiamo che non ci serva».
«Io credo - mette l'ultima parola il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) Franco Locatelli,- che ci dobbiamo
accostare a ogni vaccino con un atteggiamento laico, cioè valutare quello che è il profilo di sicurezza ed efficacia attraverso analisi rigorose e fare valutazioni sulle pubblicazioni scientifiche che verranno a essere prodotte».
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