Mettetevi l'animo in pace: se nel 2021 e nel 2022 il vostro carico fiscale resterà invariato, sarete usciti vincitori dal confronto con le leggi di Bilancio che si annunciano. Le bozze della Nota di aggiornamento al Def 2020 (Nadef), infatti, non lasciano presagire nulla di buono poiché gli obiettivi di finanza pubblica sono demandati, appunto, a un maggior rigore del prelievo. Allo stesso modo, non si possono nutrire particolari aspettative sul Recovery Fund. «Si prevede l'utilizzo pieno delle sovvenzioni (grants) messe a disposizione del nostro Paese, e un utilizzo dei prestiti compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di bilancio», si legge nel testo. Questo significa che per il 2021 si potrà contare, visto l'allungamento dei tempi, su una decina di miliardi di sussidi a fondo perduto, mentre si dovrebbe rinviare a tempi migliori l'utilizzo dei finanziamenti per non gravare ulteriormente di deficit e debito un Paese che arriverà all'anno prossimo con un 158% di rapporto tra debito e Pil.
Come tutte le Nadef anche quest'ultima esamina il quadro macroeconomico tendenziale e programmatico a legislazione vigente. Dunque, si può solo intuire quale sarà la direzione di marcia. Da una parte, ci sono le indicazioni precise sul finanziamento della manovra: spending review, revisione dei sussidi ambientalmente dannosi, incremento di gettito derivante dal contrasto all'evasione, maggior gettito derivante dalla crescita economica e infine risorse comunitarie. Dall'altra parte, ci sono le cifre la pressione fiscale è stimata aumentare (al netto del taglio del cuneo presentato come «bonus 100 euro») dal 41,8% atteso quest'anno al 42,2% del 2021 e al 42% del 2022. Il che vuol dire che da gennaio ci si può attendere 7-8 miliardi di tasse in più che copriranno il taglio del cuneo strutturale. Non meno importante il fatto che sia nel 2021 che nel 2022 si cifri a 12,5 miliardi di euro il recupero dell'evasione fiscale, prodromo di una stretta sempre più invasiva sui contribuenti.
Qual è la ratio di questo atteggiamento? Nello scenario avverso di un riacutizzarsi del Covid, il Pil 2020 diminuirebbe del 10,5% anziché il -9% stimato. Nel 2021 la crescita si fermerebbe invece a +1,8% contro il +6% dello scenario programmatico. «Noi purtroppo temiamo, per quest'anno, una perdita del Pil in doppia cifra», ha chiosato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, anticipando i dati del Centro studi che saranno presentati sabato. I provvedimenti emergenziali adottati faranno salire il deficit/Pil quest'anno al 10,8%, mentre per l'anno prossimo si stima una riduzione al 7% (per sfruttare una ventina di miliardi in più dal tendenziale del 5,7%) per tornare al 3% nel 2023 quando si prevede un'ulteriore manovra restrittiva (0,3% di Pil di effetto recessivo). Il tasso di disoccupazione scenderà dal 10% del 2019 al 9,5% nel 2020, salirà di nuovo al 10,3% nel 2021 per poi ridiscendere al 9,5% e all'8,7% nel 2022 e 2023. I 16,5 miliardi spesi quest'anno per il Covid si contrarranno a 1,2 miliardi nel 2021 per azzerarsi successivamente. Di qui anche lo stop a Quota 100 diventata insostenibile. La spesa per pensioni quest'anno dovrebbe toccare il 17,1% del 2020, il target è il 16,2% nel 2023.
Queste cifre spiegano perché la riforma fiscale sia stata rinviata al
2022. Non c'erano fondi sufficienti. «La Nadef non è la fotografia dell'oggi, ma del domani», ha spiegato ieri il ministro dell'Economia Gualtieri. Tanto l'oggi quanto il domani appaiono, tuttavia, gravati da un'ipoteca.
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