A fine gennaio, come di consueto, sentiremo la voce dei liberali (e dei libertari). Questa volta, in sostanza, sulla pandemia (i suoi effetti, il suo sviluppo, le attese). Agli inizi del 2020 un gruppo di 25 intellettuali liberali richiamò l'attenzione dell'opinione pubblica sul fatto che si stava predisponendo un gigantesco meccanismo di deresponsabilizzazione, in ogni settore, esteso ad ogni categoria e classe sociale. «Le risorse si diceva che sono nella disponibilità dello Stato devono direttamente pervenire agli interessati, senza passare necessariamente attraverso tutto quell'armamentario che ne ritarda l'erogazione e, soprattutto, che incide sulla consistenza degli aiuti stessi, riducendoli in modo sensibile e favorendo quel clientelismo e quella corruzione che con facilità si annidano proprio negli apparati burocratici». Oltre a ciò «bisogna disboscare la selva delle regole, perché quanti evocano il boom successivo alla Seconda guerra mondiale dovrebbero ricordare come allora chi voleva intraprendere poteva farlo con facilità: non c'erano tutte le leggi che ora impediscono ogni iniziativa, né vi era una pressione fiscale come l'attuale».
Agli inizi del 2021, un secondo «Appello», un primo bilancio. «L'interventismo autoritario è sotto gli occhi di tutti. Trova la sua (inventata) ragion d'essere nella lotta al virus Corona. In realtà, ogni giorno si fa violenza allo stato di diritto e si aumenta la spesa pubblica. L'imposizione fiscale insopportabile va di pari passo. Facciamo ecco la conclusione che lo Stato lasci lavorare in pace chi vuole fare, eliminando ogni norma che ostacola quanti intraprendono».
È ora, adesso, di fare ancora il punto e, soprattutto, di parlare chiaro. Di disboscamento normativo neppure si è parlato. Si è anzi continuamente alimentata l'illusione che a tutto possa pensare l'apparato pubblico, così gravandolo di ulteriori compiti e responsabilità anche sul piano sanitario. Le banche centrali hanno dal canto loro continuato a fare politica, e a dettare comportamenti, più dei Parlamenti. L'Europa appare come la grande salvatrice (pur con preteso rimborso, di cui nessuno si occupa e si preoccupa), in un vorticoso tourbillon di denaro pubblico del quale non si sanno né si comprendono, i precisi confini. Il futuro è incerto perché è incerto che futuro vogliamo creare.
Di questo ed altro si discuterà a Piacenza il 29 e 30 gennaio (anteprima nel pomeriggio di venerdì 28) nel corso della sesta edizione del Festival della cultura della libertà, organizzato anche con la collaborazione del Giornale.
Diceva Einstein: «Non possiamo pretendere che le cose cambino,
se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi porta progressi. È nella crisi che sorgono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Tacere nella crisi è esaltare il conformismo». Non taciamo, troviamoci a Piacenza.
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