Lui si stringe nelle spalle, prende fiato e poi dice: «È stato un momento difficile, dovevamo rendere omaggio alle vittime e alle loro famiglie e, nello stesso tempo, celebrare la rinascita di un locale martoriato». L'altra sera Sting ha suonato al Bataclan di Parigi a un anno esatto dalla macelleria messicana dei kamikaze durante il concerto degli Eagles of Death Metal. «I proprietari me lo hanno chiesto una settimana fa, non è stata una mia idea ma ho subito detto di sì». Se ne è parlato in tutto il mondo. Ieri mattina Sting è arrivato a Milano per partecipare alle registrazioni di Stasera Casa Mika per Raidue e presentare il suo nuovo disco 57th & 9th, il primo rock dopo tanti anni. Ma aveva ancora forte l'emozione di uno dei concerti più importanti della propria carriera.
Non è facile piegare la musica a un dolore così grande.
«Parte del mio lavoro, e di quello di ogni musicista, è lenire il dolore. La serata si è aperta in modo molto sobrio, poi ho deciso di iniziare con la canzone Fragile».
Perché?
«Perché il testo è molto calzante per questo tipo di situazioni con versi come La pioggia di domani laverà via le macchie, ma qualcosa nella nostra mente rimarrà per sempre».
È stata una strage che ha cambiato il modo del pubblico di avvicinarsi ai concerti.
«Ma bisogna ricordare che si è trattato di un atto perpetrato da un piccolissimo gruppo di persone che non deve minare la cultura musulmana».
Oltre a essere una delle popstar più celebri, Sting è un uomo di mondo, ha 65 anni, è «un marito, un padre e anche un nonno», ed è realmente commosso. Parlando con Rockol ha raccontato anche che «al Bataclan mi ha colpito una donna con la foto di suo figlio: mi ha ricordato la madri dei desaparecidos in Cile. E poi il racconto del proprietario del locale: quando è entrato dopo la strage c'erano tutti i cellulari che squillavano, era come un albero di Natale macabro».
È appena uscito il suo disco 57th & 9Th. Un ritorno al rock che lei aveva definito «morto».
«Posso permettermi dichiarazioni un po' polemiche no? Il rock è nato con Gene Vincent, Elvis e tutti artisti ormai morti«.
A proposito, questo è un anno nero per il rock: Bowie, Prince, Cohen, eccetera.
«Ora tocca trovare chi deve sostituirli, e non è un mio compito, io spero di continuare ancora per un po'. Ma in questo disco c'è una riflessione sull'essere popstar».
Ossia?
«Nella mia vita non ho imparato molto rimanendo sotto i riflettori. Arrivi a sentirti immortale, hai spocchia. Poi inizi a confrontarti con la tua mortalità. Ed è la fase più importante, più decisiva della vita».
E la racconta in musica come uno scrittore lo farebbe in un libro?
«In questo disco c'è una sola canzone autobiografica, ed è Heading south on the great north road. In tutte le altre io interpreto un personaggio. Ma in queste canzoni c'è tutto il mio Dna musicale e personale, a parte il jazz e il reggae».
Ed è anche il ritorno ai suoni che fecero grandi i Police.
«Dopotutto io sono stato il loro bassista, cantante e arrangiatore... Per dieci anni ho seguito uno sfizio e ho fatto dischi un po' esoterici senza bisogno di vendere tante copie. Dopo tanti anni, me lo posso permettere».
Dicono che questo disco sembri un buon vino.
«Sì, è complesso e stratificato come un buon vino. A proposito, lo sa che negli States dicono che gli unici buoni vini prodotti da celebrità sono quelli di Francis Ford Coppola, Brad Pitt e Angelina Jolie e i miei?».
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