Ma cosa sta succedendo agli americani? Possibile che il virus del fanatismo ideologico, di destra come di sinistra, stia davvero prendendo piede là dove domina la cultura più pragmatica del mondo? Possibile che dopo decenni di semina di luoghi comuni del «progressismo» sessantottino nelle università degli Stati Uniti sia arrivato il tempo del raccolto, con un'intera generazione forgiata al pensiero unico del «politicamente corretto»?
Fa rabbrividire, ma sembra proprio così. Dopo gli scontri di Charlottesville, in questa calda estate americana il tema del razzismo è diventato incandescente, e se già sembrava abbastanza folle che si fosse cominciato ad abbattere monumenti ottocenteschi in nome dell'unità nazionale, adesso cominciano a far paura altri simboli del passato. L'ultimo caso riguarda uno dei film più celebri della storia del cinema: «Via col vento».
Il kolossal hollywoodiano degli anni Trenta dedicato alle tragiche vicende della schiavitù e della guerra di Secessione è stato visto almeno una volta da quasi tutti gli americani di ieri e di oggi. Ai nostri giorni è considerato una pietra miliare della cinematografia, ovviamente contestualizzata ai tempi in cui fu realizzato: per i più giovani, può anche essere considerato una sorta di affascinante documentario storico.
Eppure, c'è chi ritiene che «Via col vento» non sia più degno di essere visto in pubblico: troppo diseducativo, troppo vicino alla visione del mondo dei «suprematisti bianchi» di cui sono piene in questi giorni le pagine dei media che la attaccano. È questa la decisione dell'Orpheum Theatre, storico cinema di Memphis, la città del blues nel Tennessee.
Lo stop alla programmazione del capolavoro di Victor Fleming è stato deciso dopo la proiezione dello scorso 11 agosto, cui hanno fatto seguito reazioni insolitamente contrastate. Tanto è bastato agli organizzatori dei calendari dell'Orpheum per bollare il film come «indelicato per una grande percentuale del nostro pubblico» e cancellarlo dalla programmazione dell'anno prossimo.
È questa l'ennesima dimostrazione dei danni che possono provocare i social network: una infima minoranza di attivisti, che si spacciano per portavoce di un'opinione pubblica che è in realtà incalcolabilmente più vasta e che ha altro da fare che perder tempo su Facebook, riesce a condizionare le scelte chi di dovrebbe tener conto del diritto di ciascuno a non subire censure deliranti travestite da tutela della «delicatezza» di una parte (sempre la stessa) del pubblico.
Clark Gable, Vivian Leigh, Leslie Howard e crediamo anche Hattie McDaniel, l'attrice di colore che interpretava la parte della «mamie» nella villa lussuosa dei latifondisti bianchi, si rivoltano nelle loro tombe. E chissà cosa dirà Olivia de Havilland, la Melania di «Via col vento» che con i suoi 101 anni non ha perduto smalto e carattere.
Il mese scorso ha sporto denuncia contro chi a suo dire ha infangato la sua immagine in una serie televisiva. Ora l'ultima superstite di quel fantastico cast potrebbe far sentire la sua voce contro questo scempio del buon senso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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