«Uno può scrivere quello che vuole, ci mancherebbe. E la fantasia si può anche mettere in un articolo, ovviamente. Poi però non penso che i partiti, con tutto il rispetto per chi scrive gli editoriali, si facciano condizionare da questi ultimi, o dal pensiero di chi, dalle colonne di un quotidiano, ritiene di dover indicare una linea politica ai partiti stessi». Tommaso Foti, capogruppo Fdi a Montecitorio, taglia corto sulla questione del simbolo di Fratelli d'Italia, smentendo la ricostruzione dell'editoriale del direttore di Repubblica Maurizio Molinari, secondo il quale l'eliminazione della fiamma dal logo del partito di Meloni sarebbe una precondizione per l'accordo tra Ppe e conservatori richiesta da Manfred Weber, leader dei popolari all'Europarlamento.
Il direttore di Repubblica a settembre aveva già chiesto, in un'intervista all'allora segretario Pd Letta, che cosa pensasse del fatto che il vostro partito ha nel proprio simbolo «la fiamma che arde sulla tomba di Benito Mussolini».
«Questo discorso mi lascia stupito, perché se in una fase Fdi aveva assunto il simbolo di An, che aveva anche la fiamma con la scritta Msi, adesso invece ha solo la fiamma senza base, quindi mi pare un ragionamento surreale. In generale questa è una polemica vecchia ribollita, quando non si sa che cosa tirar fuori, si tira fuori la fiamma. Sono talmente poche le argomentazioni che hanno per dire che Fdi non è una destra democratica e conservatrice che si continua a tornare su quel punto lì. È come se uno tagliasse una quercia dal suo giardino, o un ulivo, perché erano simboli di partito. È un po' strano. Da che mondo è mondo i partiti politici si valutano per quello che esprimono in termini di idee, di programmi e anche di alleanze».
Ma a Fdi questa richiesta, ufficiale o ufficiosa, di «spegnere» la fiamma come condizione per l'alleanza tra popolari e conservatori è arrivata o no?
«Io non c'ero. Però dubito che si possa ragionare su un'ipotesi che fa un altro che, esattamente come me, non era presente. E non penso che la politica internazionale passi per i loghi. Penso che passi per i luoghi, che sono cosa differente, e i luoghi si chiamano Occidente, si chiamano Nato, hanno il nome di tutte quelle partecipazioni che vedono un'Europa coesa, compreso il fronte anti-Putin. Penso che questi siano i luoghi della politica».
Insomma, un'eventuale coalizione allargata in Europa tra Ppe e conservatori non passa per l'addio alla fiamma?
«Quando An si fuse con Fi e nacque il Pdl, il simbolo non aveva la fiamma. Ma fu la fusione di due partiti, anche se fu una fusione a freddo. E non mi pare che allora nessuno ebbe a obiettare qualcosa. E nessuno obiettò nemmeno sul fatto che uomini di An, magari anche uomini del Msi, aderissero al Ppe. Parliamo solo di un articolo come tanti, e del resto che Repubblica abbia assunto una posizione non solo di critica ma di ogni qualsiasi pregiudizio possibile nei confronti di Fdi penso che lo abbiano ben chiaro i suoi stessi lettori. Non so se questa posizione giovi alle vendite, perché quando si passa dal giudizio al pregiudizio, in pochi apprezzano. Anche chi la pensa diversamente da noi, oggi in Italia, apprezza l'obiettività. E di Giorgia Meloni è stata apprezzata la coerenza, che l'ha portata dall'aver fondato un partito che nel 2014 valeva l'1,9% a un partito che oggi vale venti volte tanto. Ah, quanto al simbolo».
Dica.
«Ecco, penso che un chiarimento sia dovuto e necessario: nei partiti i simboli e le linee politiche non le decidono gli editoriali, soprattutto se di quotidiani schierati dalla parte opposta.
Mi dispiace per la sinistra ma se dovessimo decidere di fare un congresso, una piattaforma, e quindi anche decidere di cambiare simbolo, sarà una scelta che faranno i militanti, gli iscritti, i delegati al congresso. Non certo il direttore di Repubblica».
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