Sull'omicidio Regeni il governo fa melina. Ombre su Cambridge

L'informativa di Alfano alle Camere sarà solo il 4 settembre. I sospetti sull'ateneo britannico

Sull'omicidio Regeni il governo fa melina. Ombre su Cambridge

Intrigo internazionale in piena regola. In ballo i nostri rapporti con l'Egitto e, in virtù della sua influenza dominante, con l'intero Nordafrica. Questo è il contesto del caso Regeni e non intacca il bisogno di far luce anche sull'opacità e la leggerezza con la quale il governo Renzi e quello attuale se ne sono occupati.

Ma la polemica politica rischia di rendere ancora più impenetrabili le nebbie. Così la decisione del governo di informare il Parlamento il prossimo 4 settembre, in una riunione congiunta delle commissioni Esteri di Camera e Senato, appare ancora una volta tardiva e superficiale. Il ministro Alfano sarà chiamato a chiarire sulle indagini ferme a un punto morto (e perché sia stata sottovalutata l'imbeccata di Obama a Renzi nelle prime settimane), sui rapporti del nostro Paese con la feroce dittatura di Al Sisi, che Renzi ha definito «grande statista», alla luce dei nostri interessi economici. Infine, sul ritorno del nostro ambasciatore al Cairo. Pur senza scendere in diretta polemica con il governo la presidente della Camera Boldrini ha fatto sapere di aver chiesto tempi più solleciti al presidente della commissione Esteri della Camera, Cicchitto. Ma sembra più un appello di circostanza che la reale volontà di fare pressione. Secondo il grillino Di Battista «domani devono riferire, non il 4 settembre...». L'imbarazzo del governo è tangibile, anche perché l'invio dell'ambasciatore disposto da Alfano alla vigilia di Ferragosto è suonato come un altro schiaffo alla famiglia Regeni. «In ogni altro Paese il governo sarebbe caduto», aggiungono i grillini. Però quel che preme, soprattutto ai familiari di Giulio, è la verità, non la caduta di qualche testa o una crisi di governo. Sarebbe perciò fortemente auspicabile che i riflettori si spostassero sulle indagini, più che sulla chiacchiera sotto vuoto spinto. Sapere, per esempio, se Renzi o Gentiloni abbiano passato le informazioni avute da Obama alla Procura di Roma e, se no, per quale motivo. Le giustificazioni arrivate dalla maggioranza, ieri ribadite dalla deputata pd Quartapelle, lasciano il tempo che trovano.

Diversa, invece, può essere la considerazione sulla presenza del nostro ambasciatore al Cairo, che dovrebbe essere considerato un «presidio» e un aiuto per le indagini, non una resa al governo di Al Sisi. Sono molti osservatori a sostenerlo, come il generale Leonardo Tricarico, già consigliere militare a Palazzo Chigi con D'Alema, oggi presidente di un think thank di analisti che fa capo a Icsa. «Se fosse proprio il ritorno dell'ambasciatore a favorire la verità?», si chiede in un'intervista a Tiscali News. Tricarico pensa che occorra avere un altro passo, nelle indagini, e alzare il mirino, in particolare, «sul Regno Unito e quelle manine che muovono i fili per alzare la tensione tra Roma e Il Cairo». In questo difficile contesto sarebbe maturata la terribile morte del ragazzo. Al punto che Tricarico rileva puntualmente l'opacità di tutta la parte della storia che riguarda il mandato che l'Università di Cambridge affidò a Regeni e che, pochi mesi dopo la sua morte, provò di riaffidare a un altro studente italiano.

Effettivamente, un interesse così urgente e pregnante sui «modelli organizzativi dei sindacati» (questa l'inchiesta di cui si occupava Giulio) poco si spiega. Non a caso, dopo che il «sostituto» di Regeni aveva chiesto di essere tutelato informandone il governo egiziano, l'Università lasciò perdere in gran fretta. Perché?

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