In due anni e mezzo ha portato la guerra ovunque. Prima nello Yemen per combattere i ribelli Houthi amici dell'Iran. Poi nel Qatar accusato di appoggiare il terrorismo internazionale. Poi, ancora, ai vertici dell'Aramco per strappare la compagnia petrolifera saudita al controllo di quei rodati tecnocrati che la gestiscono da settanta e passa anni. Ma ora una guerra silenziosa tracima anche nel cuore di un regno saudita dove i principi rivali assistono con mal dissimulata rabbia alla nomina ad unico erede del principe Mohammed Bin Salman, figlio di Sua Altezza Re Salman. Ieri il sovrano saudita ha annunciato, infatti, di aver trasferito al giovane rampollo quel titolo di primo erede al trono appartenuto al 57enne cugino Mohammed Bin Nayef.
Una decisione sottoscritta con 31 voti favorevoli su 34 dal Consiglio dell'Alleanza, l'organo consultivo a cui spetta la scelta e la nomina del successore al trono. Quel che nessuno sa è se le scelte dell'81enne re Salman, da molti definito in precarie condizioni fisiche e mentali, siano autonome o influenzate dall'ambizione e dall'impazienza di un erede pronto a sovvertire le regole della successione per garantirsi decenni di potere. Liberare il regno dall'incancrenita gerontocrazia che negli ultimi decenni ha portato al trono sovrani ottuagenari potrebbe essere un passo non da poco. Ci si chiede però se il 31enne rampollo possegga, al di là dell'ambizione, il carisma e l'esperienza necessari per garantirsi, se non l'appoggio, almeno la neutralità dei 15mila membri della famiglia reale.
Un quesito non da poco. La sua nomina ha infatti richiesto la defenestrazione di quel principe Mohammed Bin Nayef che - oltre ad essere il vero erede designato - è stato per anni il ministro dell'Interno in carica e quindi il principale custode della sicurezza del Regno e il principale nemico di Al Qaida e dello Stato Islamico. Il suo ritiro, e quello dei suoi collaboratori, rischiano infatti di consegnare l'Arabia Saudita a dei vertici di sicurezza inesperti e incapaci. Ma il rischio maggiore è legato all'instabilità dei prezzi del petrolio crollati nuovamente sotto la soglia dei 50 dollari a barile. Proprio al petrolio è legata la rivoluzione battezzata «Vision 2030» che - secondo il nuovo erede - porterà alla privatizzazione dell'Aramco e a svincolare l'Arabia Saudita dalla dipendenza dal greggio.
Certo fin qui le avventure intraprese dall'erede con il tacito consenso e l'appoggio del padre non hanno regalato grandi successi. Dopo due anni di spietati bombardamenti l'insurrezione degli Houthi nel vicino Yemen continua senza sosta.
E in Siria i gruppi salafiti sono, di fatto, in grossa difficoltà dopo il riallineamento di Qatar, Turchia e Iran. Tutti fattori che minacciano le complesse sfide del giovane Mohammed. E rischiano di renderle tanto precarie quanto la salute del padre.
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