Qualcuno potrebbe aver equivocato, ma Gimbo Tamberi non è un giocatore di basket: nonostante quel tiro a canestro, mimato dopo i 2,35 che lo stavano portando in alto dove il cielo è più blu ed anche più dorato. Ma questo è Tamberi: nel momento in cui il mondo, il tuo mondo potrebbe cambiare, si diverte con le passioni sue. Il basket lo è certamente, ma anche Chiara alla quale ha fatto la proposta di matrimonio poco prima di partire per Tokyo. Chissà, l'ispirazione è una prerogativa dell'essere campione. Probabilmente l'ispirazione, tradotta in grande speranza di un meraviglioso sognatore, lo ha condotto in questi cinque anni. Dal momento in cui la sorte lo ha scavallato dalla groppa sua facendolo rovinare sulla caviglia sinistra fino a ieri, terra d'oriente, dove profumi, umori, sapori e quello stadio vuoto, riempito solo dal giocoso batter di mano della gente dell'atletica, hanno deciso che era l'ora di tornare in sella. E così si è conclusa una storia iniziata il 15 luglio 2016 nella città dei Principi, Montecarlo, e nello stadio dei re, dove la vetta dei 2,41 si è trasformata nel peggiore scivolo verso l'inferno. Tamberi aveva appena passato i 2,39 del record italiano, ingordo tentò i 2,41 e crack: rottura del legamento deltoideo del piede sinistro. Operazione, desolazione, addio Giochi di Rio dove contava di farsi cacciatore d'oro: il mestiere che ha istigato i suoi istinti.
15 luglio: proprio la data in cui, cinque anni dopo, Gianmarco ha chiesto a Chiara di sposarlo. Ci sono segnali che la vita non può ignorare. Ci sono regali che la vita si permette quando non ti lasci prendere dal pessimismo. Gimbo ci ha provato: ha pianto sul letto d'ospedale con quel gambaletto applicato alla caviglia operata. Ha lottato per ritrovare il vecchio sogno. Lo chiamavano «half- shave» «Mezza barba» per quella barba sempre fatta a metà, era il marchio di riconoscibilità nella sfide che contano. Ma forse solo scaramanzia. Questa volta ha vinto con barba accennata, sorriso radioso e il gambaletto a fargli compagnia, a lato pedana. «Non l'ho mai buttato, per me significa tutto. E ho fatto scrivere da Chiara sul gesso: road to Tokyo». Riassumendo la strada: una settimana a piangere nel letto di dolore, un giorno per dire: ci riprovo, due anni per ritrovarsi in pista, gli altri per tornare ad essere una faccia da conquista. Aveva lasciato il suo mondo con un titolo mondiale indoor ed uno europeo. Ha ricominciato la scalata, a Glasgow due anni fa, con un oro europeo indoor. Figlio delle Marche, guarda caso come Mancini, deve essere l'anno della buona stella, 29 anni, figlio di papà nel senso che anche Marco, suo padre, è stato finalista olimpico dell'alto (Mosca 1980), per poi spingere il figliolo sotto l'asticella del destino. Ieri Marco piangeva, Gianmarco rideva, lasciava correre lacrime, saltava, impazziva. La storia si era conclusa, Tamberi non è più lo scatenato intrattenitore con grinta da rocker batterista. Ieri era un ragazzo cresciuto, campione che sentiva l'ora del destino.
Chiamava il pubblico: non per spettacolo, solo per farsi carezzare dal sostegno. Lo pregava in ginocchio. Pregare: anche quella è una via per battere la sofferenza. E non è un caso che, alla fine, col meraviglioso oro negli occhi, Gimbo abbia spiegato al mondo: «Ne è valsa la pena».
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