Il terrore al vertice Pd-M5s: come fermare Berlusconi?

Al summit Conte-Letta-Speranza niente nomi: solo la strategia per arginare la votazione sul Cavaliere

Il terrore al vertice Pd-M5s: come fermare Berlusconi?

No a Berlusconi, sì a «un presidente autorevole». Il risultato del vertice giallorosso ufficiale (anche se avrebbe dovuto restare riservato, nelle intenzioni iniziali) di ieri mattina, non va oltre questo concetto base, reiterato nei tweet trigemellari di Enrico Letta, Roberto Speranza e Giuseppe Conte. La prudenza, del resto, è obbligatoria in una situazione estremamente delicata, dentro tutti gli schieramenti e i partiti, a pochi giorni ormai dal primo show down in aula. «Non c'è alcuna intesa sui nomi perché ne parleremo con il centrodestra nei prossimi giorni», dice Letta, ma di certo «nessuno ha un diritto di prelazione» sulle candidature. Il che, ha tradotto il segretario dem ai suoi interlocutori nei numerosi contatti di ieri, significa che «non voteremo Berlusconi ma neppure altri candidati targati centrodestra». Il tentativo di Letta, in attesa di scoprire le prossime mosse di Silvio Berlusconi, è quello - piuttosto faticoso, ma su cui ieri, in un abile gioco diplomatico, ha incassato un primo indubbio successo - di tenere insieme un fronte evitando scomposte fughe in avanti, strappi e sussulti che provengono soprattutto dalla galassia in stato confusionale dei Cinque stelle, su cui Conte non riesce finora ad esercitare alcuna leadership. Con lo scopo di non far pronunciare alcun «no» preventivo al nome del premier. «La protezione di Mario Draghi deve essere l'obiettivo di tutte le forze politiche. È la risorsa fondamentale del paese e ci fa scudo rispetto alle nostre debolezze, a partire dal debito», dice il leader Pd in un'intervista post-vertice a Huffington Post. «Di qui la necessità di fare tutto quello che è necessario per non sbagliare i prossimi passaggi. Non ce lo possiamo permettere». L'avvertimento, assai chiaro, è rivolto innanzitutto ai grillini e a quei pezzi di dem che, nei sondaggi interni ai suoi parlamentari che Letta sta conducendo a tappeto in questi giorni sul nome di Draghi, ancora si mettono di traverso e tentano di buttare in pista nomi come Giuliano Amato, Pierferdinando Casini o Paola Severino. Ma c'è anche un messaggio a Salvini sull'eventuale governo post-Draghi, in cui il leader della Lega vorrebbe entrare: «Un esecutivo con tutti i segretari di partito? Ho molti dubbi su questo schema», dice il leader Pd. Negli incontri avuti dopo il summit in casa Conte, come quello con le capogruppo Malpezzi e Serracchiani, Letta aveva spiegato che «comunque Conte non mi ha detto di no su Draghi. Certo poi bisogna vedere come e se governa i suoi gruppi». Per ora non parrebbe molto, visto il testa-coda comunicativo avvenuto subito dopo l'incontro dei tre leader, quando «fonti qualificate dei Cinque stelle» hanno fatto circolare una velina secondo la quale «la stragrande maggioranza» dei parlamentari di tutto il centrosinistra sarebbero «contrari» alla candidatura del premier. Un tentativo un po' goffo di scaricare su Letta e Speranza il mal di pancia pentastellato, strappando la tela lettiana. Dopo qualche burrascoso contatto con il Nazareno, lo stesso Conte ha fatto una esplicita marcia indietro: «Draghi? Non poniamo assolutamente veti». Ma le difficoltà in cui si dibatte Conte sono apparse palesi. Intanto, però, il problema prioritario del centrosinistra si chiama Berlusconi. «Se da lunedì scende in campo, dobbiamo assolutamente uscire tutti dall'aula. Altrimenti molti dei nostri ex e attuali parlamentari lo voteranno», confidava un preoccupatissimo Federico D'Incà, ministro grillino ai Rapporti con il Parlamento, a diversi esponenti dem. Lo stesso consiglio che dà Rosi Bindi, che pure si era ipotizzata come candidato «di bandiera» anti-Cavaliere. «Bindi? Finirebbe per essere la carta vincente di Berlusconi: sai quanti dei nostri piuttosto che votare lei lo voterebbero?», ironizza un navigato esponente ex Ppi.

Sta di fatto che una strategia d'aula in caso di candidatura del leader di Forza Italia ancora non c'è, e si attende col fiato sospeso di capire cosa farà. Con una domanda che rimbalza nei capannelli agitati di grandi elettori dem: «E se alla fine fregasse tutti e si intestasse lui la candidatura di Draghi?».

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