Una telefonata allunga l'agonia del Terzo Polo. Matteo Renzi e Carlo Calenda si parlano, 48 ore dopo la disfatta elettorale alle regionali in Lombardia e Lazio. Una chiacchierata al telefono, preceduta da uno scambio di messaggini nelle ore calde del tracollo elettorale. Il colloquio di ieri anticipa la separazione consensuale: la coppia è ormai scoppiata. L'amor mai sbocciato si è schiantato al secondo test elettorale al quale si presentavano insieme. La cifra dello scontro è contenuta nei toni durissimi usati da Carlo Calenda contro Renzi, martedì sera, in direzione: «Mi sono stancato. Io ci metto soldi, ci metto la sede, la struttura, giro l'Italia mentre Renzi se ne sta tranquillo al sole di Dubai e Riyad». Parole di fuoco, quelle di Calenda, riferite al Giornale da una fonte di Azione che ha preso parte alla direzione di martedì sera. Uno sfogo che certifica un matrimonio ormai a capolinea.
Gli staff smorzano i toni: «Calenda e Renzi si sono sentiti anche oggi come fanno praticamente tutti i giorni e hanno sorriso sulle strampalate ricostruzioni offerte dai media in queste ore. Il risultato delle regionali non soddisfa nessuno, ma per molti aspetti era fisiologico: la vera sfida rimane quella delle Europee 2024. Calenda e Renzi condividono l'idea di accelerare sul partito unico dei riformisti proseguendo il cammino già individuato, fin dalla prossima riunione del comitato politico convocata dal presidente della federazione Calenda per il prossimo 27 febbraio». È il succo di una velina arrivata dal fronte Iv. Ma la rottura è già nei fatti. Ed è frutto di due visioni.
Alla Direzione nazionale di Azione, lo stato maggiore del partito di Calenda ha trovato l'intesa sulla richiesta, da formalizzare nelle prossime settimana, a Italia Viva per la fusione nel partito unico. Basta melina. Si deve accelerare. I renziani invece insistono sullo schema della federazione, per tenersi mani libere e valutare altre opzioni. Azione fissa due paletti: partito unico e il nome di Calenda nel simbolo. Renzi controbatte: federazione senza il nome di Calenda. Non a caso, nella velina fatta uscire ieri, si indica Calenda come federatore e non come leader. Un segnale chiaro. Un messaggio politico evidente. La macchina del Terzo Polo si è inceppata.
Il leader di Azione sulle analisi post voto si sfoga: «Le stesse c..... e le ho sentite per tre anni, mentre passavo dallo 0 all'8%» risponde all'Adnkronos a quanto osservato da Salvatore Vassallo, direttore dell'Istituto Cattaneo, secondo cui il Terzo Polo «non può esistere.... non c'è né in una dinamica maggioritaria, né come centro mediatore, perché il centro destra è in grado di vincere da solo». Mentre tra i fedelissimi di Calenda si addensa un sospetto: un asse tra Mara Carfagna e Renzi per affidare all'ex ministro Fi la leadership del Terzo Polo alle Europee.
Altri vedono un secondo scenario: l'avvicinamento tra il leader Iv e Forza Italia. Suggestioni che aumentano la tensione. Nel bilancio post voto, il piatto di Azione piange: tre eletti sono in quota Italia Viva, uno ex Udc e uno ex Pd. La classe dirigente calendiana fatica a imporsi.
Motivo per cui il leader di Azione ieri è stato preso di mira sui social dai militanti con insulti e attacchi. Per chiudere in bellezza, dalla Puglia arriva un'altra grana: il Pd chiede al governatore Michele Emiliano di mettere alla porta i consiglieri di Azione.
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