Test di massa, la bufala di Arcuri: dove sono i 300mila tamponi?

Gli errori della prima ondata ripetuti nella seconda. Der Kommissar promise migliaia di test, ma l'Italia è a ferma al palo

Test di massa, la bufala di Arcuri: dove sono i 300mila tamponi?

La prima volta la grande promessa trapela il 17 ottobre, poco dopo la riunione tra Domenico Arcuri e le Regioni. Le agenzie di stampa battono la disponibilità di Der Kommissar a “ricominciare gli acquisti centralizzati” di tutto l'occorrente per "arrivare a 300mila test al giorno”. Quella cifra magica diviene pochi giorni dopo un vero e proprio obiettivo ufficiale: in conferenza stampa il 29 ottobre Arcuri assicura che dal 2 novembre l’Italia sarà in grado di realizzare uno screening di massa con 200mila tamponi e 100mila test antigenici al dì. È andata davvero così? Oppure, come successo in estate, il Belpaese sta rincorrendo il virus perdendo la sfida del tracciamento dei contagi? Oggi, volgendo lo sguardo ai mesi passati, possiamo dire con una certa sicurezza: no, non è affatto andata come ci era stato promesso da Mister Mascherina.

L'abbaglio del governo

Sin da subito è stato un gran pasticcio. Il governo e i tecnici, su cui ha fatto affidamento per affrontare la crisi sanitaria generata dalla pandemia, non hanno saputo districarsi bene. E così il tracciamento è andato a farsi benedire e l'emergenza iniziale si è fanta endemica. Certo, quando il 20 febbraio Mattia Maestri risulta positivo al Covid-19, ancora nessuno sa che il virus dilaga ormai nelle principali regioni del Nord. Due giorni dopo il primo tampone positivo, come ricostruito nel Libro nero del coronavirus (clicca qui), l'Unilever di Codogno riunisce tutti gli impiegati entrati in contatto con il paziente 1. In coda, in infermeria, vengono sottoposti al test. Il giorno dopo tocca a tutta la fabbrica. Il 25 febbraio arrivano gli esiti: su 350 persone, dieci risultano positive. "Alcuni di questi, dopo pochi giorni, hanno avuto la febbre - ci racconta Stefano Priori, che oltre a lavorare al reparto separaqzione dove si produce la materia prima per fare i detersivi, è anche vice sindaco di Castiglione d'Adda - e almeno un paio di loro sono rimasti ricoverati in ospedale per oltre un mese. Fortunatamente nessuno ha perso la vita...". Il tracciamento all'Unilever serve a isolare i malati, ma non a interrompere la catena dei contagi. Perché? Perché ormai è troppo tardi. Ma va anche detto che governo non si mette certo a correre: l'approvvigionamento di tamponi e reagenti avviene a rilento e la mappatura dei contagi diventa impossibile. L'unico a riuscire a stare dietro a Sars-CoV-2 è Luca Zaia a Vo' Euganeo, ma in un contesto troppo piccolo per essere replicato in un Paese gestito da un esecutivo del tutto impreparato. Il risultato è già scritto: il premier Giuseppe Conte corre a decretare il lockdown del Nord Italia prima e dell'intero Paese pochi giorni dopo.

Il tracciamento mancato

Se quindi nella prima fase, al netto dei ritardi, le difficoltà nel tracciamento sono in parte comprensibili, lo stesso non si può dire per la seconda ondata. Riportata l'asticella dei contagi a poche centinaia e forte della lezione appresa, Conte e soci avrebbero potuto applicare il "modello Vo'" mettendosi a tracciare il virus città per città. L'hanno fatto? Macché. Facciamo un salto indietro di un paio di mesi. A inizio ottobre, dopo un’estate di presunta retrocessione del virus, l’Italia si (ri)scopre vulnerabile e incapace di tenere a bada la trasmissione del morbo. Nonostante l’incremento delle capacità diagnostiche, la seconda ondata mette infatti in luce tutt i limiti del sistema seguito da Arcuri e soci: i laboratori sono sommersi dagli esami, ai drive in si creano code lunghe decine di metri e gli addetti al contac tracing non riescono a stare al passo con la diffusione del virus. Nel bollettino del 12-18 ottobre, l'Istituto superiore di sanità certifica che nella terza settimana di ottobre solo un caso su quattro “è stato rilevato attraverso attività di tracciamento”. Walter Ricciardi, consigliere di Roberto Speranza, ci mette il carico da novanta: le Asl, dice, “non sono più in grado di tracciare i contagi, quindi la strategia di contenimento non sta funzionando”. Queste difficoltà, peraltro, erano state già messe in conto dal ministero della Sanità in vista della stagione invernale: in uno studio del 12 ottobre sulla possibile ripresa dei contagi, infatti, in tre scenari su quattro viene annunciata la progressiva difficoltà nel “tenere traccia delle catene di trasmissione”. Come poi è avvenuto.

La promessa di Arcuri

Per far fronte alla "nuova" emergenza, Arcuri annuncia urbi et orbi 300mila test quotidiani (guarda il video). Il piano, a dire la verità, era stato proposto al governo qualche mese prima da Andrea Crisanti, lo stesso che in Regione Veneto aveva contribuito a pensare il (vincente) "modello Vo'". Peccato che nessuno se lo sia filato. Eppure il piano del professore era abbastanza semplice: ma per attuarlo era necessario “potenziare i laboratori” e muoversi “fin da subito”, cioè in estate, e non nel pieno della seconda ondata. Per farsi trovare pronti, disse Crisanti, “ci vogliono mesi: non basta ordinare dei tamponi per risolvere il problema”. Tradotto: Arcuri non può dire di aver fornito alle Regioni un numero sufficiente di cotton fioc e reagenti se poi non le ha aiutate a potenziare i laboratori di diagnostica.

E infatti l’Italia è da tempo che non vede più quota 200mila tamponi al giorno. Nonostante le promesse del prode Arcuri, l’ultima volta che siamo riusciti a mantenere il livello del tracciamento di massa risale al lontano 4 dicembre. Oltre un mese fa. E non c’entrano i fine settimana o le festività. I dati parlano chiaro. Il report giornaliero della Protezione Civile ha registrato il superamento della fatidica soglia dei 200mila solo nel mese di novembre, festivi esclusi. Sono i giorni in cui il governo deve decidere se chiudere o meno di nuovo il Paese. Dopo il dpcm sulle zone rosse, datato 6 novembre, il maxi tracciamento va avanti fino al 4 dicembre tra alti e bassi. Poi si interrompe. Il 5 dicembre vengono realizzati solo 194mila test, e il numero va via via diminuendo senza più essere in grado di risollevarsi secondo le promesse del Der Kommissar. Ormai siamo ad un mese intero sotto la soglia. Non è troppo?

Perché qui il rischio è quello di commettere lo stesso errore di questa estate e di inficiare tutti i sacrifici (economici e sociali) fatti dagli italiani negli ultimi due mesi. Nei mesi caldi avremmo avuto l’occasione imperdibile di tracciare con più facilità tutti i casi, investendo sullo screening di massa. I casi positivi erano pochi: se avessimo iniziato allora a fare oltre 200mila test al giorno forse avremmo scovato più focolai e avremmo potuto spegnerli prima che le fiamme divampassero nell’incendio di quest’autunno. Invece, se si vanno a leggere i dati viene lo sconforto. A giugno il giorno migliore è il 17, con appena 77.701 tamponi effettuati. A luglio ancora peggio, con il picco di 61.858 il 30 del mese. Per non parlare di agosto, dove solo negli ultimi giorni l’Italia è tornata a sfiorare quota 100mila analisi. Poche? Probabilmente sì. Soprattutto se si considera che il numero di tamponi non indica le persone effettivamente testate.

La verità sui numeri

Nel calderone dei "nuovi tamponi effettuati" finiscono sia le analisi di chi non è mai stato testato prima, sia i cosiddetti “tamponi di controllo”. Questi ultimi sono i test cui si devono sottoporre soggetti già risultati positivi per assicurarsi di essersi negativizzati. Se dunque osserviamo il trend delle persone testate, e non dei tamponi totali, il quadro si fa ancor più tragico: dopo il picco massimo di 144mila persone testate del 13 novembre, ormai dal 29 novembre non superiamo più quota 100mila.

Nel Libro nero del coronavirus (leggi qui) ci eravamo lasciati con questo monito: gli errori della prima ondata non vengano ripetuti nei mesi a venire. Purtroppo il governo non ha imparato e siamo tornati punto e d’accapo. Nonostante le presunte capacità sovrannaturali del commissario Arcuri.

(Infografiche a cura di Alberto Bellotto)

Domenico Arcuri

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