La battaglia e la vittoria per gli ultimi che non hanno voce: gli anziani chiusi nelle Rsa. Finalmente il ministero della salute si accorge di loro. È da quando è scoppiata l'epidemia che stanno pagano il prezzo più alto, una strage straziante e silenziosa, i focolai ovunque e il colpo di grazia: incontri sospesi, cancelli sprangati e il mondo chiuso fuori, abbracci negati, carezze al telefono, parole di conforto rimandate. Condannati ad una pena ingiusta e disumana molti di loro si sono lasciati letteralmente morire. Troppo grande la sofferenza, l'orrore di essere stati dimenticati, vivi eppure trattati come se fossero già morti. A nulla è valso il dolore pagato sulla loro pelle perchè nella seconda ondata il copione si è ripetuto tale e quale: nuovi focolai, nuove vittime. Evidente che il virus entra dalla porta principale, portato dagli operatori, dai medici, dagli infermieri, che ogni giorno staccano e tornano a casa dalla propria famiglia, e ricominciano il turno il giorno dopo. Degli oltre 3 mila contagi in Piemonte, 397 sono in case di riposo. Nell'ultima settimana in Emilia Romagna le Rsa hanno pagato il prezzo di 60 decessi e 273 contagi. Il Veneto ha chiesto agli infermieri di usare le loro ore libere al volontariato nelle strutture per anziani.
Oggi qualcosa finalmente si muove. In vista del Natale il ministero della Salute sta pensando a un nuovo protocollo per le Case di riposo. Il documento, finalizzato proprio alla riapertura generalizzata delle visite «per rimuovere l'isolamento sociale e la solitudine degli anziani», è sul tavolo del Comitato tecnico-scientifico: prevede, in caso di assenza di contagi, test rapidi per i familiari. Finalmente si è capito -dall'alto- che la tattica della chiusura non solo è un danno a volte irreparabile per i nostri nonni, ma che soprattutto non paga. Non è valso a niente, con buona pace dei direttori sanitari zelanti a sterili protocolli, insensibili e ottusi davanti alle richieste di famigliari disperati che per mesi hanno elemosinato una visita, un incontro anche da lontano con i loro cari. «Vanno predisposte strategie di screening immediato è scritto nella bozza in discussione tramite test antigenici rapidi ai parenti-visitatori degli assistiti. Dopo le diagnosi, che possono essere effettuate in loco, in caso di esito negativo, i visitatori possono accedere nella struttura». Evviva. Misure di buonsenso che però tracciano a differenza di una qualità di vita degna, di Paese che si dice civile. Sarà comunque obbligatorio l'uso delle mascherine e della distanza fisica di almeno un metro e le porte delle Residenze socio-assistenziali potrebbero richiudersi, su decisione della direzione sanitaria, se si riscontrano nuovi contagi nella struttura. Ma ancora una volta il ministero della salute mostra il lato umano e insiste: in questo caso è chiesto alle strutture di munirsi di apparecchi «perché a ogni ospite sia data la facoltà di collegarsi regolarmente in modalità digitale con congiunti e amici, al fine di scongiurare un isolamento forzato». Addio alla vergognosa assenza a cui li hanno costretti. Le stanze degli abbracci, nel frattempo, permettono già che tutto questo avvenga in sicurezza.
C'è voluto il genio e la compassione di una direttrice illuminata di Castelfranco Veneto, che ha studiato e inventato un escamotage che aggira il virus: plastica che separa il parente dalla persona ricoverata ma permette l'incontro. Ne stanno nascendo ovunque di queste stanze nelle Rsa in tutta Italia, prendendo in prestito l'idea. Le altre invece saranno costrette a obbedire alle direttive del ministero. Finalmente.
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