Il "Tira e molla" del premier sconcerta il Colle. Che chiede tempi stretti e un patto di ferro

La preoccupazione di Mattarella: la situazione del Paese è drammatica e la gente non capisce i giochi di Palazzo. La speranza di chiudere in settimana

Il "Tira e molla" del premier sconcerta il Colle. Che chiede tempi stretti e un patto di ferro

Sale, non sale, va a dimettersi, prende altro tempo, ha trovato i numeri, macché, deve finire la campagna acquisti, getta la spugna, neanche per sogno, vuole solo «informare il capo dello Stato e aggiornarlo sulla situazione», come prevede sbagliando Paola De Micheli, ministro dei Trasporti. E alla fine no, non sale sul Colle, se ne riparlerà oggi, quando Giuseppe Conte arriverà con la lettera in tasca e rimetterà il mandato. Appuntamento alle 11, dopo un'ennesima girandola di vertici: ma chissà, in questa strana crisi ne abbiamo già viste di tutti i colori. L'altalena va avanti per l'intera giornata, seguendo il sismografo politico e emozionale del premier, gli alti e bassi di una trattativa difficilissima. E Sergio Mattarella aspetta invano nel suo ufficio «le valutazioni» del premier. Filtra un certo sconcerto per l'uso piuttosto disinvolto del «vado-non vado», dell'effetto annuncio che tira in ballo il presidente nello scontro tra i partiti.

Dunque Conte, dopo averle provate tutte, si arrenderà alle 11, aprendo formalmente la crisi: che dirà? Chiederà i tempi supplementari? Implorerà un terzo incarico? Spiegherà che la caccia ai responsabili ha ancora una possibilità di riuscita? In una notte a Roma può succedere di tutto. Vedremo. L'unica cosa certa è che la verifica di governo sta imboccando l'unica strada percorribile, la stessa indicata da giorni dal capo dello Stato: dimissioni del premier e consultazioni, rapide, immediate, tra domani sera e giovedì. Mattarella, che da più di una settimana attende la visita del presidente del Consiglio, sentirà i partiti e vedrà se sarà possibile mettere in piedi una maggioranza o se sciogliere il Parlamento e mandare il Paese alle urne in tarda primavera, con qualcun altro a Palazzo Chigi. Pandemia, vaccini, scuole, Recovery, aiuti alle imprese e ai negozi: i problemi dell'Italia non aspettano.

Ma di andare alle urne non ha voglia nessuno. L'ipotesi a cui si lavora e perciò «una ripartenza» dopo il reset della crisi, una ristrutturazione dell'alleanza giallo rossa allargata magari a qualche contributo centrista, se «strutturato» in un gruppo parlamentare, con annesso corposo rimpasto. E visto che i volenterosi di Conte latitano, il ritorno in grande stile di Italia Viva è fondamentale per la riuscita dell'operazione. Neanche Matteo Renzi infatti ha la smania di contarsi.

Il problema a questo punto è il premier. Pd e Cinque Stelle puntano ufficialmente su un Conte ter, ma Iv si accontenterà di averlo depotenziato, commissariato, imbrigliato? Non vorrà il suo scalpo? E poi siamo sicuri che dem e grillini, pur di evitare lo scioglimento anticipato, non accettino un premier diverso? Ed è proprio il timore di essere silurato, cambiato in corsa, che finora ha frenato il presidente del Consiglio, che ha ritardato il più possibile la salita al Quirinale per rimettere il mandato. «Non voglio fare il tacchino».

Ora però, come gli dirà Mattarella, il tempo è scaduto, i responsabili non ci sono e Palazzo Chigi non ha abbastanza «agibilità amministrativa» per affrontare le due emergenze, sanitaria ed economica. La palla quindi passa al capo dello Stato, che organizzerà delle consultazioni lampo ma «approfondite», con la speranza di chiudere in settimana. Conte ter, Conte zero, larghe intese? Ai partiti chiederà due cose.

La prima, fare in fretta, perché la situazione del Paese è drammatica e la gente non capisce i giochi di Palazzo. La seconda, serve un nuovo patto di ferro su un programma serio: con 209 miliardi possiamo ricostruire l'Italia, pero dobbiamo ottenerli e anche saperli spendere.

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