Una levata di scudi delle toghe contro la riforma annunciata dal Guardasigilli Marta Cartabia, con l'appoggio esterno del M5s e in parte del Pd. Ma il ministro non torna indietro, e nonostante il fuoco di fila della magistratura, ribadisce la necessità e l'indifferibilità della riforma, come peraltro reclama anche la Ue: «L'eccessivo tempo dei processi - annotano i tecnici di Bruxelles - in particolare a livello di appello, continua a costituire un ostacolo alla lotta alla corruzione e sono ancora pendenti in Parlamento ampie riforme per snellire le procedure penali».
La cronaca di giornata sul braccio di ferro che vede anche il governo diviso, come rimarca lo stesso Guardasigilli («Le forze politiche spingono in direzioni diametralmente opposte, ma questa riforma deve essere fatta»), si apre con le bordate che arrivano dalle audizioni della commissione Giustizia di Montecitorio. Il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri inizia l'attacco, spiegando che con le nuove norme sulla prescrizione e i tempi predeterminati per appello e Cassazione «certamente ancor di più conviene delinquere», con un conseguente calo «del livello di sicurezza per la nazione». Una bocciatura a tutto tondo di una riforma che, continua Gratteri, se si fa solo «perché altrimenti non ci arrivano i soldi» sarebbe «umiliante», e che porterebbe a conseguenze preoccupanti, perché secondo il procuratore calabrese «i sette maxi processi che si stanno celebrando a Catanzaro per come è prevista oggi la norma saranno dichiarati improcedibili».
Stessi toni per il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, che ascoltato in commissione ha definito «un'interferenza del Parlamento sull'attività giudiziaria» contraria alla Costituzione «rimettere a una riserva di legge, al Parlamento, l'individuazione dei criteri di priorità per l'esercizio dell'azione penale». Non sarebbe dunque, ha concluso Cafiero De Raho, «conforme alla Costituzione riservare al Parlamento la definizione dei criteri generali di indirizzo per l'esercizio dell'azione penale, che è e resta obbligatoria». Fuori da Montecitorio, una bordata arriva anche dal Pg di Napoli Luigi Riello, che nel corso dell'incontro proprio con la Cartabia sull'Ufficio del processo, ha tagliato corto: «Mi sembrerebbe molto triste dover trarre la conclusione che l'unico modo di fare i processi in questo Paese sia non farli, sia offrire ponti d'oro agli imputati per indurli a scegliere a suon di sconti, saldi, liquidazioni e riti alternativi».
Ma il Guardasigilli non cambia rotta e l'opzione della fiducia sul testo resta una possibilità per il governo. «Siamo di fronte a un'occasione unica, non possiamo perdere il treno del recovery», spiega la Cartabia, ricordando che si potranno abbreviare i processi anche a prescindere dalla «tagliola» della prescrizione e invitando a non «farsi intrappolare da forze centrifughe che paralizzano». «Lo status quo non è un'opzione sul tavolo», taglia corto il ministro, chiedendosi come sia possibile e per quale motivo si sia arrivati ad avere «57.400 processi pendenti a Napoli». E in attesa del parere sulla riforma del processo penale del Csm, a remare con la Cartabia c'è anche una parte della politica. Come il parlamentare di Azione Enrico Costa, che ricorda come non sia vero che i sette processi citati da Gratteri «saranno improcedibili», visto «che la riforma si applica a fatti successivi al 1 gennaio 2020 e i processi riguardano fatti precedenti».
Proprio Costa si dice colpito dalla ferocia dell'attacco lanciato dai magistrati al provvedimento, auspicando che questa reazione, arrivata dopo mesi con le toghe a testa bassa a rintuzzare i contraccolpi del caso Palamara, non sia «un antipasto di quello che accadrà quando ci sarà la riforma del Csm».
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