Nessuna sorpresa. Quella c'era già stata nel 2015 quando aveva vinto a sorpresa sfruttando le divisioni fra gli alleati. In questi cinque anni il cambiamento è arrivato in profondità, anche la rossa Genova è stata espugnata e ha fatto scuola: c'è un modello legato alla ricostruzione del Ponte Morandi, tagliando tempi e burocrazia, che viene citato in tutta Italia.
Così il governatore Giovanni Toti viene riconfermato in carrozza, ben oltre la soglia del 50%, anzi sfiora il 55% e incassa una vittoria che non è solo una sconfitta dei suoi rivali. «Siamo venti punti sopra l'altra volta - afferma il presidente davanti all'ingresso dell'Hotel Bristol di Genova dove ha trascorso il pomeriggio in attesa dei risultati e in compagnia della moglie Siria e dei suoi più stretti collaboratori - Questa è la più grande vittoria del centrodestra nella storia di questa regione, mai una giunta di centrodestra era stata confermata e invece è stato premiato il buon lavoro svolto. Ancora di più perché qui Pd e Cinque stelle avevano trovato un candidato comune».
Lo scontro fra i due giornalisti- Toti ex direttore di Studio aperto e del Tg4, Ferruccio Sansa che proviene dal Fatto Quotidiano - si chiude all'arrivo dei primi exit poll e proiezioni. Troppo ampia la forbice, sopra i dieci punti percentuali, e dunque impossibile un recupero dello sfidante.
A rendere più amara la botta per i giallorossi c'è il fatto che il laboratorio ligure, unico caso in tutta Italia, aveva appunto prodotto una candidatura unitaria: c'erano stati tormenti e colpi di scena ma alla fine era spuntato Sansa a mettere d'accordo Pd e Cinque stelle. Insomma, intorno al nome del cronista, persona stimata e figlio dell'ex sindaco di Genova Adriano, era successo un mezzo miracolo, mentre nel resto del Paese tutti i tentativi di intesa fra i due partner di governo naufragavano miseramente.
Ma l'effetto coalizione non c'è stato con Sansa costretto ad inseguire appena sopra l'asticella del 40% e Aristide Massardo, il candidato di Italia viva e + Europa, bloccato ad un ininfluente 2 per cento, e lontano dal quorum del 5 per cento. Tanto che ora ci si chiede se, visti i risultati in giro per l'Italia, abbia senso insistere su questa strada che evidentemente non convince e anzi scontenta una buona parte dell'elettorato del Pd e dei Cinque stelle.
Più delle alchimie di coalizione ha contato l'amministrazione, promossa dai cittadini. La Genova del sindaco Marco Bucci e di Toti ha cancellato la città che fu messa a ferro e fuoco dai militanti comunisti il giorno dell'attentato a Togliatti e che si ribelló contro il governo Tambroni nel 1960, la stessa città da cui è partito Beppe Grillo. «È stata una battaglia quasi impossibile - si difende Sansa - ma il recupero c'è stato».
Vince dunque l'ex volto Mediaset, scoperto nel 2014 da Berlusconi anche come nome da spendere in politica. L'ex direttore decolla come europarlamentare, poi l'anno dopo accetta la sfida persa in partenza della regione Liguria, ma contro tutti i pronostici manda a casa il centrosinistra.
Potrebbe essere un episodio, fortunato ma irripetibile, diventa il segnale di un'onda lunga che da Genova arriva a Savona e La Spezia, facendo saltare quasi ovunque il tappo delle giunte rosse. Ma Toti non si accontenta e dal suo osservatorio punta a Roma. È sempre più insofferente a una Forza Italia che considera prigioniera di logiche vecchie e superate. Diventa per una breve stagione all'inizio dell'anno scorso coordinatore del partito fondato dal Cavaliere ma la distanza cresce e infine si consuma lo strappo. Il governatore lancia il suo movimento, Cambiamo!, che però resta imbottigliato e senza visibilità nelle retrovie del centrodestra.
Il successo di questa tornata potrebbe servire per riprovare dopo la falsa partenza del 2019.
La lista Cambiamo con Toti presidente svetta - a scrutinio ancora in corso - al 23 per cento, vince nettamente il duello con la Lega, indietro al 16 per cento, supera anche il Pd che nuota intorno al 20 per cento. Sono numeri che forse interpretano il futuro.
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