Trame, trucchi e chiarimenti Conte pensa solo a resistere

Vede Zingaretti e invoca un'alleanza Pd-M5s anche alle Regionali. Quelle veline per mettere in difficoltà i dem

Trame, trucchi e chiarimenti Conte pensa solo a resistere

Per tutta la giornata si rincorrono le parole della Prima Repubblica (sia pur in assenza di protagonisti comparabili con quelli dell'epoca): «verifica», «chiarimento», «piano inclinato», «sostituzione» (del premier).

La maggioranza è una centrifuga di sospetti, frustrazioni, scontri, impotenze, e gira a vuoto. In mattinata l'ennesimo vertice sulla «madre di tutte le riforme», quella del decreto semplificazioni, era finito nel nulla: niente accordi, tutto rinviato un'altra volta. Un problema non da poco per Conte, che sa che quel provvedimento è una delle condizioni essenziali poste dalla Ue all'Italia per continuare a sostenere la boccheggiante economia del nostro paese (e, quel che più conta a Palazzo Chigi, per restare sulla poltrona di premier). Tanto che per la prima volta, raccontano i partecipanti, Conte ha provato ad alzare virilmente la voce davanti alle resistenze incrociate: «Non accetto testi annacquati o dimezzati: se è così, non convoco il Consiglio dei ministri». Nel frattempo, gli alleati di governo si rimpallavano le accuse: è il Pd che frena sulle semplificazioni, accusava il M5s (e lo stesso Conte). «I 5stelle vogliono togliere l'abuso d'ufficio per salvare la Appendino», replicavano dem e Iv. Poi, come da copione da Prima repubblica, si svolge il fatidico summit tra Conte medesimo e l'azionista di maggioranza Zingaretti. All'uscita, la consueta liturgia di rassicurazioni sul «chiarimento» e la «lealtà», anche se dal Pd medesimo fanno filtrare che ognuno è rimasto sulle proprie posizioni: «Abbiamo spiegato a Conte che sul Mes deve decidere, continuare a traccheggiare ci fa perdere credibilità in Europa: dopo il vertice del 19 luglio, la scelta va fatta, e con chiarezza. E lo abbiamo avvertito che se alle Regionali il centrodestra si prende due delle Regioni ora governate dal centrosinistra, non saremo solo noi a pagarne il prezzo: il suo governo rischia di saltare per aria». Insomma, Conte «deve dimostrarci di saper decidere e uscire dall'immobilismo, nel qual caso saremo leali. Altrimenti, dopo il vertice Ue di metà luglio, occorrerà mettere le carte in tavola, a cominciare dal Mes».

Conte, che alla assenza di capacità di governo compensa con un'accentuatissima capacità di galleggiamento e autodifesa, ha giocato però abilmente le sue carte per incastrare i Dem: in mattinata, su alcuni diligenti giornali, erano uscite le veline filtrate da Palazzo Chigi per descrivere la dolorosa sorpresa del premier nel constatare le trame e i veleni del Pd contro di lui, nonostante i suoi mirabolanti sondaggi di popolarità.

Nel frattempo, il presidente del Consiglio aveva lanciato la sua offensiva seduttiva verso Silvio Berlusconi: «Forza Italia è la forza politica più responsabile e dialogante». Con un retropensiero chiaro: se qualcuno (da Di Maio a settori Pd) pensa di costruire con Fi una nuova maggioranza per sostituire il segnaposto di Palazzo Chigi, sappia che sono pronto a fregarli sul tempo. Infine, Conte era partito alla riconquista del Pd: con un accorato appello (destinato probabilmente ad essere ignorato) ha invocato quell'alleanza Dem-M5s per le regionali che Zingaretti non si stanca di implorare: «È giusto provare a costruire progetti unitari nelle regioni, andare divisi sarebbe una sconfitta per tutti», dice il premier (proprio mentre in Liguria, unico tavolo aperto, la trattativa sul candidato comune va per l'ennesima volta a gambe all'aria). Zingaretti si aggrappa però allo zuccherino offerto da Palazzo Chigi: «Il governo ha la forza per decidere e fare le cose, e il Pd è il primo sostenitore delle semplificazioni». E nel frattempo accelera sulla legge elettorale: alla Camera, su iniziativa Pd, la riforma proporzionale viene calendarizzata per il 27 luglio. «I numeri, grazie a Fi, ci sono», giurano i dem.

Che hanno fretta di mettere sul tavolo un'arma deterrente: se c'è una legge elettorale incardinata in Parlamento, è il loro ragionamento, in caso di crisi si può convincere Mattarella a evitare il voto anticipato. Dando il benservito a Conte.

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