«Perchè resisterò più di altri segretari? Perché questa è l'ultima chance». Lo dice chiaro e tondo Enrico Letta, alla sua prima conferenza stampa da segretario (ma solo con i corrispondenti esteri): questa, per il Pd, è l'ultima occasione per non precipitare in una litigiosa irrilevanza.
Ma il neo-leader dem non fa neppure in tempo a inaugurare la sua prima settimana al Nazareno, accolto positivamente dai sondaggi che segnano un rimbalzo (dal 16,6% al 17,4 secondo Swg) dopo la batosta delle ultime settimane, che lesto arriva il primo sgambetto dal suo partito. Anonime «fonti romane» del Pd fanno filtrare che l'ex ministro dell'Economia Roberto Gualtieri sarebbe pronto a «sciogliere la riserva» e ad annunciare oggi la propria disponibilità a correre come sindaco di Roma. Il primo effetto è lo scontro con Carlo Calenda, che fin da ottobre si è proposto come candidato per il centrosinistra: «Mi pare evidente la scelta del Pd di rompere. Ci confronteremo alle elezioni». Un preannuncio di guai grossi, perché con Calenda da un lato e la Raggi (ancora decisa a ricandidarsi) dall'altro, la sconfitta sarebbe assicurata.
A stretto giro arriva quindi la presa di distanza del Nazareno dalle voci su Gualtieri: sulla candidatura per il Campidoglio «non c'è ancora nulla di deciso», si fa sapere, anche perché «il segretario non ha ancora avuto modo di aprire il dossier delle amministrative». Una doccia gelata, non tanto su Gualtieri quanto su chi ha provato a spendere il suo nome per mettere subito Letta con le spalle al muro. E nel centrosinistra romano non hanno dubbi su chi sia dietro l'accelerazione di ieri, fatta a freddo e senza necessità, visto che le elezioni sono state rinviate all'autunno: Goffredo Bettini, Claudio Mancini, il segretario regionale Astorre, insomma il nucleo del potere dem romano. «Hanno cercato di bruciare i tempi per paura che Letta, una volta insediato, provi a convincere Nicola Zingaretti a candidarsi, o che - se Zingaretti dice ancora no - faccia un accordo con Calenda», spiega chi segue da vicino la vicenda romana.
Letta è andato su tutte le furie. Proprio ieri mattina, prima che la «manina» facesse trapelare l'annuncio su Gualtieri, il segretario dem aveva definito Gualtieri, durante la conferenza stampa, «un buon amico e un ottimo nome», assicurando di volerlo «incontrare prestissimo» per iniziare metter mano al dossier Capitale. Un modo per prendere tempo e valutare le alternative sul tavolo in una partita difficilissima, in cui bisogna sminare la Raggi (Letta conta di parlarne presto con Conte), mentre i sondaggi indicano Zingaretti - che però recalcitra - come unico nome Pd che potrebbe avere chance di vittoria. Non ha quindi apprezzato il tentativo di legargli le mani. Anche perchè, sia pur con modi felpati, Letta pare intenzionato ad usare il timone che gli è stato consegnato e a correggere decisamente la rotta. Sostegno pieno e «convinto» a Draghi, dialogo con M5s ma anche con i moderati, chiusura della faida interna con i «renziani» del Pd («Sono categorie del passato, siamo tutti dem»). Ma anche aperture al centrodestra, con cui si ritrova alleato al governo e che evita di demonizzare come faceva la gestione precedente. Anzi: «Incontrerò Salvini - annuncia - e lo incoraggio a continuare sulla strada intrapresa con la virata europeista.
E' un po' come se il Papa dicesse che Dio non esiste, ma sono molto contento che la Lega abbia abbracciato il programma Draghi perché l'Italia ha bisogno di questa evoluzione». Certo con Salvini il rapporto resta «difficile», mentre con Fi la collaborazione è facile, sottolinea evocando la sintonia con Renato Brunetta nell'esecutivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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