Bocciato Luigi Di Maio («sindrome di Stoccolma in forma acuta», lui e i 5 Stelle del dopo Conte), ma scusarsi di che con l'ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, assolto per sentenza ma colpevole per definizione, con buona pace dei giudici che vabbè, ormai sono malridotti. Bocciato anche Giuseppe Conte, leader aspirante e tuttora dimezzato dei grillini («resta da capire cosa gli sia saltato in mente a Conte di lodare il suo autodafè»), ma roba da non crederci, anche l'ex premier.
Non va giù, al direttore del Fatto Qotidiano Marco Travaglio, la svolta garantista e anti-gogna dell'ex capo politico dei grillini. Ospite ieri a Mezz'ora in più di Lucia Annunziata per presentare il suo ultimo libro fresco fresco di stampa (è uscito venerdì scorso) «I segreti del Conticidio. Il «golpe buono» e «Il governo dei miglori», il giornalista più amato dalla galassia grillina lancia l'altolà, anche ai suoi. Prima col fondo pubblicato ieri sul suo giornale. E ancora di più in tv. Perché il mea culpa di Di Maio passa, passerà, tra un paio di giorni quelle scuse saranno dimenticate. Ma il nodo vero è quello del blocco della prescrizione: se i grillini cederanno - lui assicura di no - beh, allora davvero sarà la loro fine. Movimento avvisato.
Niente scuse, a indagati e anche a non indagati come l'ex ministro Federica Guidi (Di Maio per il direttore del Fatto non ne azzecca una, di che si scusa Gigino con la Guidi che si dimise per colpa di Renzi?). Niente scuse. E basta anche col richiamarsi alle sentenze, pure a quelle assolutorie. L'aspetto penale va distinto da quello morale. E in quello morale la condanna è senza appello, altro che addio gogna.
Eccolo, il vademecum by Travaglio: «Chi è raggiunto da prove schiaccianti o convincenti - scrive nel suo fondo - su fatti gravi e incompatibili con una carica pubblica (disciplina e onore, aggiunge citando l'articolo 54 della Costituzione, ndr) deve farsi da parte sia che sia indagato sia che non lo sia, e se quei fatti alla fine vengono confermati deve lasciare la politica. Anche se viene assolto (o peggio ancora prescritto). Chi invece è sottoposto a indagini o giudizi per fatti controversi o compatibili con la disciplina e l'onore, resta al suo posto sino al definitivo chiarimento. Ma il primato della politica non è delegare le decisioni ai giudici (visto, tra l'altro, come sono ridotti). Ogni leader deve esaminare i fatti, affidarsi a un collegio di probi viri autorevoli, dotarsi di un codice etico rigoroso e trasparente, assumersene la responsabilità e farla giudicare dagli elettori». Dalla giustizia uguale per tutti al tribunale del popolo, meglio se 5 stelle. Un mondo kafkiano dove le prove sono valide o meno a seconda di chi giudica. E magari anche delle sue simpatie politiche.
Guarda caso, sono due sindache grilline quelle citate: la Appendino («ha subìto due condanne in primo grado senz'aver fatto niente»); e la Raggi («processi basati sul nulla e finiti infatti nel nulla»). Anzi, per Virginia, Travaglio invoca le scuse dei «giornaloni arrapati per il mea culpa». Dimenticando che alla Raggi il vademecum è già stato applicato. Infatti è rimasta al suo posto e anzi si ricandida.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.