C'è di mezzo un trojan. E il commercialista Michele Scillieri, arrestato nelle scorse ore insieme a due colleghi legati al Carroccio, rischia di diventare famoso come Luca Palamara. Lo smartphone dell'ex leader Anm, infettato da un software spia, si era rivelato una miniera per gli investigatori che avevano ascoltato non solo le telefonate, ma anche gli incontri e pure i sospiri delle persone incontrate. I reati, se ci sono, contano fino a un certo punto, perché il trojan svela un mondo, le relazioni, i pettegolezzi, i fuori onda.
Quello inserito nel cellulare di Palamara ha mandato in cortocircuito i vertici della magistratura italiana. Quello inserito nel telefonino di Scillieri trasforma potenzialmente l'indagine su un modesto capannone in quel di Cormano, un affare da 800mila euro con presunta cresta spartita fra gli amici degli amici, in un'indagine pesantissima, superinvasiva, ad altissima definizione sulla Lega. Scillieri era revisore del partito, entrava e usciva da via Bellerio, incontrava parlamentari che naturalmente con questa storia non c'entrano nulla. Adesso che succederà?
Chissà. Forse vedremo pubblicare nelle prossime settimane o nei prossimi mesi spezzoni di dialoghi. O magari frasi sconvenienti o altro ancora. Insomma, il trojan diventa, ci si perdoni il gioco di parole, il cavallo di Troia con cui la magistratura può arrivare dove non si era mai spinta. Certo, ci sono regole e limiti precisi, ma intanto le registrazioni si sono accumulate. Così l'indagine sulla Lombardia Film Commission promette di andare ben oltre gli illeciti, pur gravi, contestati: dal peculato alla turbata libertà nella scelta del contraente.
Intanto, prima suggestione, scopriamo che l'appuntamento decisivo avvenne in una tavola calda nei pressi di via Bellerio. Anzi, il summit stava per cominciare nella sede della Lega. In ballo, la compravendita gonfiata di un capannone a Cormano , sfruttando un contributo di 800 miIa euro della Regione Lombardia. Per quella vicenda sono ora ai domiciliari i tre commercialisti vicini al Carroccio: appunto Michele Scillieri, e poi Alberto Di Rubba, Andrea Manzoni.
Nell'ordinanza il gip Giulio Fanales ricostruisce le mosse del gruppo in vista dell'incontro in cui si doveva definire la compravendita dell'immobile: il presunto prestanome Luca Sostegni, il primo a finire in carcere a luglio, «portatosi di fronte alla sede della Lega di Milano, in via Bellerio, luogo inizialmente fissato per l'incontro, vedeva uscire dall'edificio lo Scillieri, in compagnia di Manzoni e Di Rubba. Scillieri lo informava della preferenza espressa da Di Rubba e Manzoni per un luogo meno rischioso, perché più appartato». Appunto un bar nei paraggi.
Ma tanta circospezione non è servita anche per via del trojan. Nell'ordinanza il gip giustifica le misure cautelari con il pericolo di reiterazione dei reati e ritenendo imminente la distruzione di alcuni documenti importanti. In particolare, Scillieri pensava di fare a pezzi gli assegni non incassati. In ogni caso, scrive Fanales, «l'accordo corruttivo è provato» e il terzetto, affiancato dal cognato di Scillieri Fabio Barbarossa, pure spedito ai domiciliari, si è mosso con «rara abilità, in modo occulto, mantenendo la maggior parte dei membri del sodalizio in posizione riparata».
E però qualcosa non quadra. Gli arresti erano stati chiesti il 15 luglio, ma sono stati eseguiti quasi due mesi dopo, l'altro ieri, quando gli indagati si erano già messi in fila per farsi interrogare in procura. Un dettaglio che lascia perplessi.
«Questa vicenda - è il commento tranchant di Matteo Salvini - finirà in nulla come tutte le altre in cui cercano soldi che non ci sono». In verità, per quel che emerge dalle carte, il guadagno immaginato in prima battuta si era ridotto per una serie di ragioni.
Ma queste sparate rischiano di essere solo il prologo di una storia molto più grande.
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