C'è voluto il Giro d'Italia per far capire perché la giunta grillina ha preferito far perdere a Roma l'occasione delle Olimpiadi: sarebbe stata una figura di palta a cinque stelle. Perfino a Chris Froome, l'eroe delle volate a pedali, è bastato mettere piede a Roma per trasformarsi in Ninetto Davoli che canticchia in bici in un vecchio spot dei cracker: il Giro più famoso del mondo trasformato in una scampagnata a pedali, causa stato osceno delle strade.
L'ultima tappa della corsa in rosa doveva essere una festa e invece si è trasformata in una farsa, già dopo il primo giro che ai ciclisti è bastato per capire quello che i romani sperimentano tutti i giorni. Asfalto e sampietrini sconnessi, buche come voragini: percorrere le strade di Roma è diventato un pericolo costante perfino per auto e scooter, figurarsi per le loro biciclette da corsa che pesano appena sette chili e vengono spinte anche oltre i 50 km all'ora. Dopo il primo giro il gruppo, con la maglia rosa Chris Froome in testa, ha iniziato a protestare con il «regulateur», il giudice che segue i campioni in moto e rileva eventuali pericoli. E, considerando che si è trovata in difficoltà perfino una delle ammiraglie, le auto che trasportano le bici (a causa di una buca ne ha perse tre per strada), non ci è voluto molto per capire che la protesta era più che fondata. Dunque, la gara a Roma praticamente non c'è stata: i rimanenti sette giri sono stati «neutralizzati», cioè resi ininfluenti per la classifica e quindi trasformati in una sorta di passeggiata. Evidentemente, con la giunta Raggi il centro storico di Roma è diventato più impervio dei passi alpini, che i campioni scalano in scioltezza. Una vergogna in mondovisione.
E pensare che, poco prima, Virginia Raggi aveva gonfiato il petto d'orgoglio: «Siamo contentissimi di avercela fatta, di aver portato a Roma l'ultima tappa del Giro». Di certo non sono stati altrettanto contenti gli organizzatori, né gli appassionati. Alla luce di quello che è successo, la retorica della Raggi suona come una beffa: «Roma è una città che vuole essere amica dello sport e della mobilità dolce». Che poi cosa ci sarà di dolce nell'essere costretti ad andare a 30 all'ora perfino sulle tangenziali (a Roma si fa così: non si riparano le strade, si abbassa il limite di velocità)? Oppure a dover pagare danni alle tante auto danneggiate, a piangere un numero record di vittime, tra pedoni investiti e moto che si schiantano, come è accaduto venti giorni fa alla 25enne Elena Aubry, la cui mamma si è trovata a «maledire le buche di Roma».
Per accogliere la tappa, la giunta aveva pure stanziato mezzo milione di euro, cifra che basta a malapena a finanziare i soliti rattoppi alla buona, pronti a essere spazzati via alla prima pioggia, di certo non a rifare l'asfalto sul circuito di dieci chilometri circa che i ciclisti avrebbero dovuto percorrere dieci volte. E pensare che Virginia Raggi si era vantata anche di questo inutile rattoppo, mentre la giunta in oltre un anno dal bando, non è riuscita ad assegnare l'appalto per una vera manutenzione delle strade. Come del resto quello per tagliare le erbacce, compito che ora si vuole affidare alle pecore.
Le opposizioni sono partite all'attacco
chiedendo le dimissioni della sindaca. Che forse, per giustificarsi, potrebbe ricorrere al classico slogan grillino. A Roma quando si tratta di buche non c'è distinzione tra campione e cittadino: uno vale uno. Consoliamoci così.
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