«Come Parlamento abbiamo svolto un'azione di supplenza, visto che finora non c'è stata alcuna volontà rispondere alle richieste di chiarimenti da parte della stampa. Abbiamo rotto un muro di silenzio. Eventuali iniziative giudiziarie le valuterà la magistratura, non è compito nostro, ma volevamo capire come questa vicenda colombiana-dalemiana si sia insinuata nelle pieghe di due aziende partecipate dallo Stato che trattano questioni delicatissime come navi e aerei militari», spiega Maurizio Gasparri, l'azzurro che ha chiesto e ottenuto che la commissione Difesa del Senato accendesse un faro sulle procedure di import-export di armi e anche sul coinvolgimento di Massimo D'Alema in una potenziale vendita di navi e aerei militari di Fincantieri e Leonardo in Colombia.
Cosa è emerso dalle audizioni sul ruolo avuto dall'ex premier nel caso della Colombia?
«Si sono rafforzati i nostri dubbi sulla trasparenza e sulla qualità di questo ruolo, si è avuta la certezza della capacità di D'Alema di insinuarsi nelle aziende pubbliche, forte della sua storia, del suo percorso, dei suoi rapporti di consuetudine che evidentemente aveva».
D'Alema si è difeso rivendicando di non essere più un politico ma un privato cittadino, ha solo ammesso di aver forse peccato di leggerezza.
«Dalle audizioni è emerso che D'Alema, come altri, utilizza i ruoli che ha avuto per questa sua attività. Nulla di illegale. Si avvaleva però anche di personaggi inadeguati. E che ci sia stata una consuetudine di D'Alema con queste società è un dato di fatto. È vietato? No, ma proprio per i suoi trascorsi quando in questa storia in ambiti internazionali qualcuno lo sentiva parlare di Fincantieri e di Leonardo, può essere stato indotto a pensare che per i ruoli politici e istituzionali che ha avuto avesse anche un mandato ufficiale che in realtà non ha mai avuto».
Le partecipate però hanno interloquito direttamente con D'Alema nella vicenda, come confermato in audizione dagli ad di Leonardo e Fincantieri.
«Sì, e per quanto riguarda l'ad di Leonardo, Profumo, le sue risposte sono state insoddisfacenti. Ha ammesso di aver avuto a che fare con questa improvvida iniziativa facente capo a D'Alema, ed è emerso che in Leonardo ha prevalso il rapporto consuetudinario di conoscenza con D'Alema su un'attenta verifica di cosa stesse succedendo. Evidentemente Profumo riteneva l'ex premier autorevole e affidabile. Del resto può darsi che lo stesso D'Alema a sua volta si sia affidato a personaggi che si sono rivelati improvvisati. Comunque è chiara un'inadeguatezza di Profumo a svolgere il ruolo che continua a ricoprire, credo che dovrebbe trarne le conseguenze».
Anche Fincantieri era andata molto avanti nell'interlocuzione con l'ex premier.
«Sì, ma l'ad di Fincantieri, Giuseppe Bono, è stato molto più cauto, ha avviato delle verifiche interne e ha preso provvedimenti per la condotta dei suoi dirigenti. In ogni caso c'è materia per riflettere e andremo avanti, come parlamentari vigileremo affinché vi sia trasparenza.
Chiederò che si prosegua con i lavori della commissione sentendo le autorità di governo, anche il ministro della Difesa, visto che il sottosegretario Giorgio Mulé che per primo aveva rilevato anomalie nelle procedure, e che ne aveva chiesto conto a Leonardo, non ha ancora ottenuto spiegazioni dall'azienda partecipata dallo Stato. E questo mi sembra molto grave».
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